Discuteremo a lungo di cosa sia effettivamente successo in questo mese di agosto del 2019.

La valanga di avvenimenti che – con una velocità sempre maggiore – ha cambiato radicalmente il sentimento del Paese sta assumendo ogni giorno che passa un significato diverso.

L’Italia è andata in ferie convinta – e rassegnata – del fatto che avremmo vissuto un’estate di porti chiusi, di scontri verbali sempre più accesi, di polemiche inutili con tutti i partner europei. Siamo tornati ed abbiamo trovato un paese pacificato che ha messo al bando gli “odiatori”, siamo ridiventati improvvisamente un popolo rispettoso ed esperto delle procedure tipiche di una democrazia parlamentare, e all’improvviso siamo una nazione rispettata in Europa, al punto che hanno deciso di attendere la soluzione della crisi per chiudere la partita dei nomi della Commissione.



Come sappiamo vi erano – fino a 30 giorni fa – due forze politiche che si odiavano profondamente. Da un lato i 5 Stelle, una forza chiaramente populista, anti-sistema, violentemente schierata contro le élite e i poteri forti dell’economia e della cultura. Dall’altro il Pd, la forza simbolo della responsabilità, espressione piena della tradizione delle grandi forze politiche, anche quelle del secolo scorso, paladina delle competenze e della professionalità, alfiere della battaglia sui diritti e i nuovi valori, fiduciosa del valore positivo della globalizzazione e dell’innovazione tecnologica.



Due mondi che apertamente si detestavano e che si consideravano, con qualche ragione, naturalmente incompatibili.

Fino a quando – dopo le elezioni del 4 marzo 2018 – un risultato sorprendente  dava ai 5 Stelle i voti e la centralità politica che fino a poco prima erano stati appannaggio del Pd. Di fronte ad un nuovo e sdegnoso rifiuto a trattare con i vincitori incompetenti, i suddetti populisti di sinistra hanno stretto un accordo con i populisti di destra.

L’argomento che l’avanzata trionfale di Salvini e della Lega abbia indotto il Pd – nella sua interezza e con una standing ovation in direzione –  a riconsiderare la cosa dopo appena un anno e a stringere un patto di ferro con gli odiati populisti di sinistra onestamente non regge, o almeno è solo una parte della spiegazione. Così allo stesso modo non ci spiega la valanga di sì al nuovo governo espresso con il voto di ieri sulla piattaforma Rousseau.



Il governo che nascerà domani non sarà infatti un governo di emergenza, ma espressione di un’alleanza che è nata per durare. Così come non siamo di fronte ad un programma minimalista, per fare le due-tre cose indispensabili a fronteggiare l’emergenza e poi andare al voto, bensì ad un’intesa  profonda, che rivela importanti punti di vista comuni.

I 26 punti che hanno tradotto in pratica la discussione programmatica tra le due forze politiche costituende il nuovo governo, rivelano un sforzo tutto sommato ordinario. Quasi come se alla fine buttare giù un elenco comune di cose da fare  non fosse poi una cosa così difficile.

Vi ricordate i 5 punti per la discontinuità di Zingaretti? O i 10 irrinunciabili obiettivi di Di Maio appena uscito dal colloquio con Mattarella? Che poi sono diventati 20?

Ebbene, troverete ciascuno di questi punti descritto con accuratezza e puntigliosamente nell’accordo presentato ieri.

Rimarrete però colpiti dallo stile. Da come ad esempio una forza tradizionalmente di governo come il Pd riesca ad imporre il suo lessico, fatto di parole misurate e di bilanciature appropriate. L’elenco dei 26 obiettivi contiene praticamente tutti i punti del programma grillino, fatta eccezione per la Tav. Solo che sono stati scritti da quelli del Pd.

Scorrendo il testo del programma si coglie l’incidenza del lavoro fatto, di come si sia stati sempre attenti a puntualizzare.

Così in più punti si afferma un obiettivo ma poi si aggiunge un esemplificativo “nello stesso tempo”, oppure si rende chiaro di che obiettivi si tratta facendo grande uso di “occorre” e di “si dovrà”.

Il programma rinvia chiaramente ad un modus operandi che capiremo sin dalle prime battute.

Ma per adesso agosto è finito e un nuovo governo è ufficialmente nato.