La direzione del Pd, all’unanimità e con un applauso vigoroso, ha approvato la linea del segretario e posto paletti precisi alla possibilità di dare vita ad un governo con i 5 Stelle.
Insisto: Renzi a Zingaretti gli ha fatto una grossa cortesia.
Ricapitoliamo, brevemente, i fatti.
Appena 6 mesi fa – non 6 anni, solo 6 mesi, cioè 180 giorni – si è tenuto un Congresso del Pd per eleggere il nuovo segretario. Renzi ha tentato in ogni modo di impedirlo quel congresso, convinto, come molti altri, che ormai il Pd era morto e che bisognava aspettare solo l’occasione buona per far nascerne un partito nuovo di zecca e – neanche a dirlo – di sua diretta emanazione.
Il Congresso invece si tiene lo stesso e viene eletto il candidato più osteggiato dai renziani, che nelle primarie si dividono in piccoli gruppi con lo scopo di impedire a Zingaretti di raggiungere il quorum. L’operazione non riesce perché il popolo degli elettori del Pd, annusata la manfrina, è andato in massa ai seggi e ha dotato il nuovo segretario di una maggioranza blindata.
Ricordiamoci il tema vero del congresso: serve a qualcosa questo Pd? Non è che il problema sta nel fatto che è nato proprio male? Ne facciamo un altro, più di centro e più bello? Dopo un mese il Pd va alle elezioni europee e recupera in un sol colpo il 5%. Vinta la battaglia per la sopravvivenza, le acque nel partito non si calmano. Il nuovo tema su cui gli oppositori di Zingaretti si concentrano è “la vocazione maggioritaria del partito”. In altre parole si dice a Zingaretti “guarda, non puoi parlare di alleanze”. Tutto per tenere in vita la discriminante nei confronti dei 5 Stelle. Il movimento dei #senzadime non perde occasione per agitare il sospetto che i zingarettiani non pensino ad altro che a fare un accordo sottobanco con i grillini. Articoli, convegni, nuovi blog e vecchie firme si accaniscono sul tema: ma siamo sicuri che tra Salvini e Di Maio il fascista sia il primo?
Zingaretti è costretto in ben 5 riunioni della direzione nazionale ad approvare documenti in cui si conferma la “vocazione maggioritaria” del Pd e il rifiuto a prendere solo in considerazione la possibilità di dialogare con il Movimento.
Si arriva così alla crisi di agosto e alla rottura definitiva tra la Lega e i 5 Stelle. Il pretesto è il voto sulla mozione sul Tav Torino-Lione, che i grillini non vogliono e che Salvini e la Lega, ma anche Conte, hanno promesso al Piemonte e alla Francia. In quell’occasione non solo viene respinta la mozione pentastellata ma viene approvata quella del Pd con i voti della Lega. Su questo passaggio Salvini decide di aprire la crisi di governo. E così, dalla sera alla mattina, Renzi comunica con un “coup de théâtre” che la linea è cambiata e che ora serve un accordo con i 5 Stelle perché bisogna fermare Salvini ed impedire un voto ravvicinato, da cui – opinione diffusa – uscirebbe vittorioso. In realtà sembra molto preoccupato di perdere quella trentina di parlamentari che gli sono rimasti fedeli. I suoi sostenitori – comitati di “azione civica”, il giglio magico con la Boschi in testa, i tweettatori di #senzadime – seguono la svolta senza batter ciglio. Tranne Calenda e uno sparuto gruppo di non giovanissimi resistenti miglioristi (Macaluso, Ranieri, De Giovanni).
La direzione di oggi (ieri, ndr) segna un punto a favore di Zingaretti. Viene completamente accantonata l’ipotesi di un governo tecnico per affrontare la finanziaria (proposto da Renzi) e l’ancora più estemporanea idea (proposta da Prodi) di vedere nascere in Italia una maggioranza composta dalle forze che a Bruxelles hanno votato per la nuova presidente della Commissione Ursula von der Leyen.
Per rendere ancora più chiara l’unica soluzione possibile, Zingaretti ha indicano 5 punti politici e programmatici su cui qualificare la svolta necessaria per formare un nuovo governo. In aggiunta a tutto ciò, Zingaretti chiarisce che nel governo non possono trovare posto né i ministri pentastellati (compreso Conte) né gli ex ministri Pd, reduci da governi giudicati assai duramente dagli elettori. Quante possibilità ha questo governo di nascere? Direi molto poche, ma non è detto che la disperazione in cui si trova il M5s non spinga Grillo e compagni ad accettare tutte le condizioni poste dal Pd, per prendere tempo e sperare così di risalire la china.
Zingaretti, come si vede, ha tutto da guadagnare dalla svolta renziana. Intanto è crollato il muro della discriminante verso i 5 Stelle. Già si intravedono sul piano locale i primi sindaci che hanno colto al volo il cambio di clima e non hanno perso tempo nel rivolgersi ai grillini locali per invitarli a partecipare a coalizioni anti-Salvini. Quello che doveva essere il risultato di un lavoro lungo e complesso si è concretizzato all’improvviso grazie al contributo inatteso proprio di Renzi.
Ora per Zingaretti si tratta di gestire questo nuovo spazio. Le elezioni rimangono lo scenario principale, anche perché Salvini esce davvero ridimensionato dal passaggio della crisi. Il segretario del Pd non ha solo la possibilità di riprendere il controllo dei gruppi parlamentari, ma anche quello di poter concretamente battere Salvini nelle urne. Anche in questo caso appare molto più credibile e realizzabile un accordo elettorale con i 5 Stelle. Si potrebbe immaginare una qualche strategia di desistenza nei collegi uninominali (in questo modo al Sud e al Centro, ma anche in molti collegi del Nord, la partita sarebbe più che aperta).
Ma anche nel caso di un nuovo governo il segno politico non lascia dubbi e comunque la soluzione finale non sarebbe tanto diversa da quello che i renziani per mesi hanno accusato di essere l’obiettivo recondito di Zingaretti.
Nel calcio un autogol è indiscutibilmente un autogol. In politica invece un gol segnato platealmente nella propria porta può essere salutato dai propri tifosi come un colpo di gran classe, la dimostrazione evidente che Renzi sia come Maradona, e che di politici così capaci in Italia non se ne vedevano da anni.
Contenti loro, contenti tutti.