Il difficile viene adesso. Per Giuseppe Conte e il governo la partita più delicata comincia il 3 giugno. Si apre una fase nuova, un’autentica “Fase 3”, senza l’ombrello protettivo dell’emergenza. In ogni situazione eccezionale qualunque decisione, anche la più strampalata, può trovare giustificazione. Qualunque errore, o quasi, può essere tollerato. Anche nel momento di allentamento dei provvedimenti più duri, com’è avvenuto dopo il 4 maggio, ci sono ancora solide ragioni per giustificare le scelte. Dal 3 giugno no.
Finisce l’emergenza, torna la politica, cui spettano scelte d’importanza capitale e a cui la straordinarietà del contesto non offrirà più uno scudo. Di conseguenza, antiche debolezze si riproporranno ancora più amplificate, in virtù delle macerie economiche e sociali che la pandemia si lascia alle spalle.
Dal 3 giugno il governo Conte è, dunque, molto più debole. Sarà chiamato a riaccendere il motore dell’Italia, e non può permettersi di sbagliare. Il dubbio è se ne avrà le capacità. Le attese sono altissime, e i segnali di nervosismo si moltiplicano.
La protesta dei “gilet arancioni” del fine settimana non va certo sottovalutata, ma per quanto rumorosa non sembra essere destinata a dilagare, vuoi per la scarsa credibilità del suo leader, l’ex generale dei carabinieri Pappalardo, vuoi per l’assenza di un’idea chiave che sappia andare oltre la protesta momentanea, come fu per i “forconi”, che lo stesso ex ufficiale tentò di cavalcare qualche anno fa con scarso successo. E il totale disprezzo delle indispensabili misure di protezione, a cominciare dalle mascherine, certo non contribuirà a attirare simpatie.
Chi siede sulla tolda di comando dovrebbe preoccuparsi assai di più di altri segnali, come quelli che vengono da chi l’economia ce l’ha in mano. Un’economia ferma, che ha ricevuto sinora pochissimi spiccioli. Il nuovo capo dell’opposizione potrebbe diventare il neopresidente di Confindustria, Carlo Bonomi. Già da numero uno di Assolombarda aveva sparato alzo zero su una politica economica evanescente. Non ha atteso neppure di sedersi sulla poltrona più alta di Viale dell’Astronomia per cannoneggiare quasi quotidianamente. L’accusa è non avere alcuna progettualità per la ripresa. Questa politica, ha detto Bonomi, rischia di fare più danni del Covid.
Per il ministro dell’Economia, Gualtieri, si tratta di parole ingenerose, perché è già arrivato il “decreto rilancio”. Ma se i soldi non riprenderanno a girare, lo ammette lo stesso Gualtieri, c’è il rischio della tempesta perfetta.
Riuscirà il governo giallo-rosso a sopravvivere a questa sfida titanica? Lecito dubitarne, per le linee di frattura che percorrono la maggioranza, e anche le due maggiori forze che la compongono. Fra Pd e grillini le prospettive per il futuro sembrano inconciliabili, basti pensare al ricorso ai fondi del Mes, cui i 5 Stelle continuano a opporsi. Cedere adesso equivarrebbe a perdere la faccia. E poi i soldi buttati in operazioni marginali, come i monopattini elettrici, quando di soldi ce ne sono pochi.
I pentastellati sono ormai dilaniati dal braccio di ferro fra Luigi Di Maio, che vuol riprendersi il ruolo di capo politico, e Giuseppe Conte, intenzionato a fare di tutto per impedirglielo, così da pilotare la galassia grillina su un’orbita sempre più vicina ai democratici. Con il ministro degli Esteri c’è la sindaca di Roma, Virginia Raggi e, più distante, Alessandro Di Battista; con il premier l’ala governista. L’esito non è scontato, e forse verrà deciso da Davide Casaleggio.
Ma se Atene piange, Sparta non ride. Al Nazareno in tanti si chiedono come mai quegli stessi sondaggi che parlano di un Salvini in caduta libera, fotografino un Pd paralizzato intorno al 20%. E qualcuno, Franceschini in testa, comincia a chiedersi se il problema non abbia il volto pacioso di Nicola Zingaretti. Una resa dei conti comincia a non essere un’ipotesi campata per aria. La vicenda giustizia, che si sta allargando a partire dal Consiglio superiore della magistratura, potrebbe essere il detonatore di un’autentica bomba.
Da Palazzo Chigi si cerca allora di andare avanti adagio, ma i fronti aperti sono tanti: imprenditori, sindacati, Europa. E un governo così debole potrebbe in autunno finire per inciampare su se stesso, o finire per essere percepito come un nemico proprio dalle forze economiche.