Se con una nota dal Nazareno sentono la necessità di far sapere che con Conte non c’è nessuna contrapposizione vien da pensare che le cose stiano all’esatto opposto. Troppi sono gli indizi che fra il Pd e Palazzo Chigi sia calato il gelo. Il casus belli sono gli Stati generali dell’economia annunciati dal presidente del Consiglio senza avvisare i democratici, che hanno perso la pazienza. Ieri il capogruppo Marcucci è stato appena una virgola meno duro: “Lavoriamo insieme, evitando passerelle, spot e eventi improvvisati”, ha sibilato.



Improvvisazione è l’accusa del giorno, voler disegnare in una settimana il modello del paese per il prossimo decennio, per usare le parole di Franceschini. Sotto, però, c’è molto di più. Un pezzo rilevante dello stato maggiore democratico era impegnato in una delicata manovra di avvicinamento a Forza Italia, in chiave di rafforzamento della maggioranza, imperniato sulla necessità di votare il Mes e sulla ripresa della discussione della legge elettorale. Ora tutto rischia di complicarsi per l’accelerazione imposta da Conte, che fa scricchiolare il quadro politico.



Non si tratta semplicemente degli Stati generali dell’economia, letti da Zingaretti e i suoi come la volontà di una passerella in favore di telecamere partorita dalla fervida mente di Rocco Casalino. Questa iniziativa viene vista come la conferma di uno dei peggiori incubi in casa democratica, che dopo due anni a Palazzo Chigi il premier si muova ormai in totale autonomia dai 5 Stelle che pure l’hanno espresso. Che abbia una sua personale agenda. E soprattutto che stia seriamente accarezzando l’idea di mettersi in proprio.

I sospetti sono parsi evidenti dopo la pubblicazione di un sondaggio Quorum/Youtrend che valuta nel 14% una lista guidata dal premier. La sua comparsa avrebbe l’effetto di un terremoto, ruberebbe voti a Forza Italia e a Italia Viva, ma soprattutto al Movimento 5 Stelle, spedendolo sotto il 10%, e allo stesso Pd, valutato in questo scenario al 16,5, che equivarrebbe al suo minimo storico. Complessivamente la coalizione di governo arriverebbe a pareggiare i conti con il centrodestra, ma a prezzo di un clamoroso rimescolamento delle carte.



Per Zingaretti uno scenario da incubo, perché equivarrebbe a consegnarsi mani e piedi a Conte, che sarebbe leader incontrastato di questa nuova fase. Ecco perché i toni si sono fatto improvvisamente aspri, con un vecchio saggio come Pierluigi Castagnetti, peraltro assai vicino a Mattarella, che arriva a stroncare gli Stati generali come una “menata”, suggerendo una due giorni di ritiro in un convento a tutto il governo per abbozzare un piano per il rilancio post pandemia.

Naturalmente il pallino è nelle mani del premier, che sin qui ha sempre ufficialmente smentito ogni velleità di trasformarsi in un capo partito, come fecero in passato altri suoi predecessori a Palazzo Chigi, Lamberto Dini e Mario Monti, per la verità con risultati tanto modesti quanto di scarsa durata. Dentro la maggioranza i segnali di nervosismo sono tanti. I 60 assenti nel voto finale sul decreto scuola ne sono una prova. La situazione è appesa a un filo. Sinora i fantasmi della crisi non si sono mai seriamente materializzati per totale assenza di alternative. E potrebbe essere così ancora a lungo, in assenza di choc esterni di carattere economico o internazionale stile 2011.

Ma l’eventuale discesa in campo di Conte potrebbe far saltare tutto. E questa ipotesi non può che essere vista con preoccupazione dal Quirinale. Gli inviti di Mattarella a una condivisione delle grandi scelte post pandemia con l’opposizione sono sin qui caduti nel vuoto soprattutto per responsabilità di Palazzo Chigi.

L’ostruzionismo sul decreto scuola fa capire che la quasi-tregua dovuta all’emergenza è finita. L’opposizione, per quanto divisa al suo interno, non farà più alcuno sconto, ma da sola non ha alcuna possibilità di far cadere il governo. Se il fragile equilibrio che regge oggi Conte dovesse essere messo in discussione sarebbe solo da dentro l’attuale maggioranza. In quel caso la situazione potrebbe sfuggire di mano. Ed è esattamente quello scenario confuso che Mattarella vorrebbe evitare nella fase delicata della ripartenza dell’economia.