Nove giorni di incontri, 82 differenti meeting, un fiume di parole per arrivare a un’unica granitica conclusione: serve un piano per reinventare l’Italia. Passano in archivio in sordina gli “Stati generali” voluti dal presidente del Consiglio Conte per dare il segnale della ripartenza del paese dopo la pandemia. Basta un dato per capire: nessuna rete televisiva generalista del servizio pubblico trasmette la conferenza stampa nei lussureggianti giardini di Villa Pamphilj, che avviene al canonico orario dei telegiornali di massimo ascolto. E se questo è potuto accadere, è solo per una espressa indicazione del portavoce di Palazzo Chigi di volare basso, di non enfatizzare, perché non c’è proprio nulla da enfatizzare.
Di sicuro il taccuino di Conte sarà zeppo di appunti, al pari di quello dei suoi ministri. L’elaborazione del passo successivo appare però ancora in fase embrionale. Una pagina bianca tutta da scrivere, mentre il tempo stringe. L’esecutivo ha guadagnato una decina di giorni. I problemi di prima sono ancora tutti sul tappeto, con dieci giorni in meno per risolverli.
Manca del tutto un piano di rilancio del paese, e da Villa Pamphilj si esce solo con indicazioni vaghe. Una riduzione dell’Iva? Ne stiamo parlando, ma è costosa. Il Piano Colao? Grazie dell’impegno, facciamo noi. La revoca della concessione alla Società Autostrade? È possibile, ma non è definita. La nazionalizzazione dell’Ilva (e di Alitalia)? Si faranno, forse, obtorto collo, ma non si può dire.
Resta irrisolto soprattutto il problema dei problemi, quel sì al Mes che i 5 Stelle non hanno ancora digerito, ma che pare inevitabile, se si vuole accedere agli altri fondi europei. E soprattutto se si vogliono soldi freschi subito. La situazione economica è talmente ingarbugliata che Conte si fa scappare che probabilmente sarà necessario un ulteriore scostamento di bilancio, cioè più debito ancora.
All’orizzonte si profila un autunno drammatico dal punto di vista economico e sociale. Per Conte sarebbe più facile se riuscisse a recuperare uno straccio di dialogo con l’opposizione, quel dialogo tante volte invocato da Mattarella, ma che spesso proprio Palazzo Chigi è sembrato voler sabotare. Chiudendo gli Stati generali il premier prova a dirsi disponibile, raccogliendo qualche segnale venuto dal centrodestra. Il tentativo di ricucire sembra però partire con il piede sbagliato, perché l’ipotesi di ricevere separatamente le tre forze di opposizione viene respinto al mittente con rabbia prima da Salvini, poi anche dalla Meloni.
Va detto che un’interlocuzione sarebbe utile anche al centrodestra, oggi ininfluente e tagliato fuori da tutto, e l’ipotesi piace soprattutto a Berlusconi. La diffidenza reciproca però è enorme, anche se il leader della Lega ammettendo di aver commesso degli errori ha tentato di evitare l’ennesimo muro contro muro, spiegando che del dialogo fra maggioranza e opposizione è il paese ad avere bisogno.
Per il governo comunque l’impresa delle prossime settimane appare titanica: chiudere il difficile negoziato sugli aiuti europei per la ripresa, varare un decreto semplificazioni davvero incisivo, e contemporaneamente dare corso ai decreti attuativi dei provvedimenti d’urgenza già varati (13 decreti legge), stimati addirittura in 165 da Openpolis. Solo 31 sono stati sin qui adottati, senza la piena attuazione molte norme rimarranno sulla carta.
Settimana dopo settimana il quadro non cambia: l’economia boccheggia, i sostegni promessi arrivano con il contagocce, fra le forze di maggioranza è tutto uno sgambetto (ultimo la candidatura del renziano Scalfarotto in Puglia alle regionali contro l’uscente Emiliano). Sopravviverà all’estate il governo? È una domanda che si pongono ormai quotidianamente anche dalle parti del Quirinale, dove si teme per un possibile vuoto di potere.
La risposta sta in questo momento nell’assenza di una soluzione alternativa a quella giallorossa, entro i cui confini in tanti si esercitano intorno al nome del possibile successore di Mattarella. Ma la partita del Quirinale si giocherà fra diciotto mesi. Da qui ad allora un cambio di scenario è più probabile che possa essere innescato dall’economia che non da manovre di palazzo, per le quali lo spazio è angusto. Mattarella lo sa, e si prepara a un lungo autunno caldo.