Vuole una vecchia regola della politica che quando si pensa di cambiare la legge elettorale le elezioni siano alle porte. Eppure oggi si torna a parlare di regole per il voto proprio nel momento in cui le elezioni sono considerate da (quasi) tutti lontanissime. Cosa c’è sotto? In filigrana si possono cogliere almeno due motivazioni, una nobile (almeno in apparenza), l’altra molto meno.
Le ragioni “alte” che portano a rimettere mano per l’ennesima volta alle regole del gioco stanno nella necessità di adeguare il sistema politico ai numeri ridotti del futuro Parlamento, dando per scontato un sì plebiscitario il 20 settembre al referendum per il taglio dei parlamentari. C’è certamente da evitare che alcuni territori finiscano per essere non rappresentati, specie al Senato. Ma c’è anche chi vuole approfittare dell’occasione per raggiungere due obiettivi entrambi in aperto contrasto con gli interessi delle opposizioni.
Da una parte, infatti, con il proporzionale chiamato “Germanicum” (o “Brescellum”, dal nome del presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera, il pentastellato Brescia) si vuole evitare quella vittoria a valanga del centrodestra che tutte le simulazioni dell’attuale “Rosatellum” continuano a pronosticare. Dall’altra, cancellando le coalizioni, si mira a far correre ogni partito da solo, così da allontanare le tre forze del centrodestra fra loro. E spostando i giochi per formare il governo alle aule parlamentari dopo il voto si finirebbe per tornare in pieno alla Prima Repubblica (pare senza nemmeno le preferenza), sbarrando – nelle intenzioni – la strada di Palazzo Chigi a Matteo Salvini.
Va detto che, in Italia almeno, ogni riforma elettorale ha portato dannatamente sfortuna a chi l’ha fatta. Fu così per De Gasperi con la Legge Truffa del 1953, come pure la Dc morente e il “Mattarellum” nel 1993. Lo stesso è accaduto nel 2005 con il “Porcellum” e nel 2017 con il “Rosatellum”, appunto: mai chi si è intestato la riforma ne ha goduto i benefici. Ovviamente tutti continuano pervicacemente a provarci, e questo non può certo che preoccupare il Quirinale, dal momento che si preannuncia in autunno una terrificante battaglia parlamentare. Un’ennesima ragione di instabilità, insomma, anche dentro la maggioranza.
A chi gioverebbe questa riforma elettorale? Molto al Pd, che in uno scenario elettorale potrebbe riproporre dopo il voto quell’alleanza con i 5 Stelle che prima sembra difficilmente realizzabile, come il dibattito sulle candidature per le regionali e le amministrative stanno dimostrando. E il “Germanicum” è stato messo sul tavolo anche per ingolosire Berlusconi, pare con un discreto successo.
Ma il fronte del no sembra molto agguerrito: non solo Lega e Fratelli d’Italia, ma anche Renzi sono contrarissimi. Per Italia viva vorrebbe dire rinunciare al potere d’interdizione di un pacchetto di consensi piccolo, ma decisivo, se si ragiona su coalizioni e collegi. E la prevista soglia di sbarramento al 5% non va proprio giù né ai renziani, né al quarto contraente del patto di governo, LeU, perché considerata per loro troppo alta da superare.
Il costituzionalista e deputato del Pd Stefano Ceccanti dice chiaramente che l’incubo del Nazareno è di consegnare in sol colpo alle destre governo, Quirinale e maggioranza sufficiente per cambiare la Costituzione, se la riforma della legge elettorale dovesse saltare. E chiedono agli alleati di rispettare un patto siglato subito prima del lockdown. Con un artificio parlamentare hanno fatto incardinare la discussione per il 27 luglio, in modo che sarà in cima alla lista dei temi all’ordine del giorno a settembre. Il 20 si vota, poi si dovrebbe entrare nel vivo.
Ma come potrebbe influire una netta vittoria del centrodestra alle regionali sull’iter della legge elettorale? In caso di un 4 a 2 per il centrodestra (che ribalterebbe i rapporti di forza attuali) potrebbe esserci un tentativo di accelerare, ma le regole del voto potrebbero costituire anche il detonatore di una lacerazione di una maggioranza immobile e traballante. Fra Mes, critiche di sindacati e imprenditori, lacerazioni dentro il Pd e il Movimento 5 Stelle, il rischio che agli apprendisti stregoni esplodano fare le mani le provette delle nuove alchimie elettorali non è del tutto da scartare.