Al di là di come finirà questa confusa fase politica, ci sono già un vincitore e uno sconfitto, e si chiamano entrambi Matteo. Sorride sornione Renzi, che come minimo ha già dimostrato di avere ancora in pugno il Pd, relegando il segretario Zingaretti a un ruolo da comparsa. Mostra, al contrario, un enorme affanno Salvini, che pare aver realizzato di non aver tenuto in alcun conto l’ipotesi che democratici e grillini potessero abbracciarsi in nome del comune interesse di mettere proprio lui fuori gioco.
Curioso è notare il ribaltamento delle parti dentro il Pd, con lo stesso Renzi fautore di quell’intesa con i 5 Stelle che aveva fatto saltare nel maggio di un anno fa. Se questo governo giallorosso si farà per davvero è arduo dirlo, anche per via di una rivolta via web del popolo pentastellato di fronte a una prospettiva davvero indigesta. E in molti ricordano che Gianroberto Casaleggio aveva detto che lui avrebbe lasciato il Movimento di cui era ideatore nel caso di un abbraccio con i democratici.
Alla vigilia delle comunicazioni di Conte in Senato è però questa l’ipotesi più accreditata, vista anche la durezza con cui lo stato maggiore pentastellato riunito intorno a Beppe Grillo nella sua villa di Marina di Bibbona ha chiuso all’ipotesi di recuperare il rapporto con la Lega. Definire Salvini un interlocutore inaffidabile e non più credibile lascia davvero poco spazio per immaginare una marcia indietro.
La marcia indietro è invece quella che sembra tentare di fare il leader leghista, dicendo che se non si vota, bisogna tornare a sedersi intorno a un tavolo e ricominciare a discutere con l’alleato degli ultimi 15 mesi, come se fosse facile dopo gli insulti vomitati gli uni addosso agli altri. Per Salvini riagganciare Di Maio rappresenta oggi insieme l’unica prospettiva politica sensata e un’impresa al limite dell’impossibile. A renderla ancor più difficile il deterioramento del rapporto personale con il premier Conte, sempre più impegnato a giocare una partita tutta sua. Da Palazzo Chigi fanno sapere che in Senato l’“avvocato del popolo” pronuncerà una vera e propria arringa contro il suo vice. Non gli risparmierà nulla dei rospi ingoiati nei mesi di governo. In qualunque scenario del dopo della collocazione dell’attuale premier bisognerà tener conto.
Con un discorso duro contro Salvini e contemporaneamente morbido verso l’Europa, Conte potrebbe candidarsi a guidare un governo giallorosso. in caso contrario potrebbe ottenere la nomina a commissario europeo. Quasi certamente, invece, una riproposizione della coalizione gialloverde vedrebbe Di Maio a Palazzo Chigi con Salvini unico vice. Ma questa offerta leghista è già stata respinta al mittente dal Movimento.
Sul tavolo di Mattarella, da martedì arbitro della crisi, ci sono però altre ipotesi, e ciascuna ha sostenitori che si stanno dando da fare. Ci sono infatti anche le due varianti del “governo di scopo” e del “governo istituzionale”. Il primo potrebbe essere guidato da un politico e sostenuto sempre da Pd e M5s, ma nascere con l’unico obiettivo di fare la legge di bilancio. Il secondo sarebbe formato da personalità di prestigio largamente sganciate dai partiti, ma avrebbe sostanzialmente la stessa finalità, anche se potrebbe allargare il proprio orizzonte a comprendere pure Forza Italia. Gianni Letta pare si stia dando un gran da fare a convincere Berlusconi, e vedrebbe assai bene – dicono – che a guidarlo fosse suo nipote Enrico, già premier di un governo che non a caso vedeva insieme Pd e Forza Italia.
Certo, al popolo pentastellato questo piatto potrebbe risultare ancora più indigesto rispetto a un patto di legislatura con Renzi e company. E in più un governo di pochi mesi avrebbe la quasi sicura conseguenza di consegnare a Salvini a primavera una roboante vittoria in solitaria (o quasi).
Dal Quirinale fanno sapere che Mattarella non si presterà ad avallare soluzione di corto respiro. Chiederà numeri solidi e una prospettiva di medio-lungo termine, spingendo per il rispetto dei vicoli europei, perché i conti siano tenuti in ordine, come è stato fatto nelle settimane in cui si è lavorato per evitare la procedura d’infrazione. Piuttosto che accordicchi al ribasso, si ragiona fra i collaboratori di Mattarella, meglio rassegnarsi allo scioglimento delle Camere. Il vero incubo, infatti, è una crisi che si avvita su se stessa, e tempi che si allungano a dismisura, come accadde un anno fa.