Non conosce tregua lo slalom di Mario Draghi e del suo governo. Neppure il tempo di chiudere con estrema fatica il testo del Piano nazionale di ripresa e resilienza che oggi è già il tempo di presentarlo in parlamento, dove Giorgia Meloni attende il premier con i fucili spianati, lamentando il pochissimo tempo concesso al dibattito. Democrazia sospesa, ha detto, appellandosi a Mattarella.
L’ostacolo successivo sarà rappresentato dall’Europa, con cui nel giorno più drammatico dei tre mesi da premier, Draghi ha messo in atto un dialogo serrato ai limiti della rottura. Un passaggio stretto quello di sabato, con il Consiglio dei ministri che slittava di ora in ora, concluso solo con una garanzia data personalmente dal presidente del Consiglio che le norme di spesa verranno accompagnate da una serie di riforme strutturali da tradurre in leggi (o decreti legge) fra maggio e ottobre. Si dovrà procedere a tappe forzate su terreni minati, come la giustizia, la concorrenza, le tasse, la normativa sugli appalti e il funzionamento della Pubblica amministrazione, mentre a Bruxelles si esamina nel dettaglio il Recovery plan tricolore.
Di fronte agli impegni complementari richiesti dall’Europa, gli screzi nella variegata maggioranza che sostiene il governo scoloriscono a beghe di comari, ma sarebbe ingenuo da parte di Draghi sottovalutarli. L’impuntatura della Lega sul coprifuoco alle 23 potrebbe rappresentare solo l’antipasto di continue tensioni. Salvini sente sul collo il fiato di Fratelli d’Italia, sempre più vicino nei sondaggi alla sua Lega, e ha quindi assolta necessità di dimostrare di essere in grado di orientare l’azione di governo. Sulla barricata opposta è Enrico Letta ad aver rialzato la bandiera dell’antileghismo, e non manca occasione per stuzzicare, sino alla provocazione. Dal ddl Zan allo ius soli, dal voto ai 16enni all’immigrazione, è lungo l’elenco dei temi che sembrano sventolati ad arte davanti a Salvini, come drappi rossi tesi a fare imbizzarrire il toro.
Sinora Salvini non è caduto nel tranello, ma il gioco si fa ogni giorno più pericoloso. Un’altro gesto clamoroso come è stato l’astenersi dei ministri leghisti sul decreto riaperture potrebbe non essere digeribile. Draghi ha abbozzato una volta, la seconda sarebbe costretto a reagire, e lo ha fatto sapere, tanto a Giorgetti quanto al suo leader. Anche qui Letta ha provveduto a spargere sale sulle ferite, sfidando la Lega, se insoddisfatta, a lasciare il governo.
Il tallone d’Achille dell’asse giallorosso sembra ogni giorno di più essere costituito dal ministro Speranza, scavalcato da Draghi nelle decisioni sulle riaperture, e tirato pure in ballo nei documenti delle inchieste giudiziarie sulle forniture. La mozione di sfiducia targata Meloni che verrà discussa mercoledì in Senato, subito dopo il Recovery Plan, non preoccupa più di tanto, dal momento che la Lega al più uscirà dall’aula per non essere costretta a votare a favore del titolare della Salute. Ma un secondo tentativo, con differente esito, non può certo essere escluso.
Il sogno dei giallorossi è Salvini che esce dal governo e Berlusconi che si lascia irretire dalle sirene europee per dar vita a quella maggioranza “Ursula” che a febbraio è sfumata per poco. Pd, M5s, Leu e Forza Italia, quelli che nel luglio 2019 votarono a Strasburgo a favore dell’attuale presidente della Commissione europea. Vorrebbe dire ricacciare la Lega all’opposizione, spaccare il centrodestra e eleggere in carrozza a gennaio il successore di Mattarella. Troppa grazia, Sant’Antonio.
Va detto che non è questo il mandato ricevuto da Draghi al Quirinale. Lo dimostra l’ostinato lavoro per tenere il Carroccio in partita, nel nome di quell’unità nazionale necessaria in un momento di emergenza su cui il Capo dello Stato insiste un giorno sì e l’altro pure. Certo, se Salvini decidesse per la rottura, Draghi non potrebbe che prenderne atto. Ma difficilmente da lui verranno mosse per spingere in questa direzione. Non c’è tempo da perdere, e serve l’apporto di tutti. Dopo aver spedito il Recovery a Bruxelles, forse già fra mercoledì e giovedì sul tavolo del Consiglio dei ministri finirà il decreto imprese, con annessi i nuovi ristori, resi possibili dal nuovo scostamento di bilancio appena approvato. L’economia che langue non può attendere le contorsioni della politica. Draghi ne è consapevole più dei partiti, e non mancherà di farlo presente con forza.
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