Passato Ferragosto l’estate volge al termine. E l’impressione è che per la politica sia scivolata via con la stessa leggerezza con cui gli italiani (non solo i giovani) hanno ignorato in vacanza ogni precauzione, alimentando la seconda ondata del Covid 19. Il premier Conte ha scelto il basso profilo, e nell’unica uscita politicamente rilevante, l’appello a Pd e 5 Stelle a unire le forze nelle Regioni, è stato clamorosamente smentito nei fatti. E il parlamento si è preso lunghe e ordinarie vacanze in un anno che di ordinario non ha proprio nulla, e in cui sarebbe stato più ragionevole lavorare giorno e notte a progettare la ripresa economica.



Anche quest’ultimo tassello fa parte di una strategia del rinvio che governo e maggioranza stanno mettendo in atto da mesi. Eppure non si può immaginare di rinviare all’infinito. Ci sono due date cerchiate in rosso sul calendario autunnale della politica: l’election day del 20 e 21 settembre e la presentazione a metà ottobre all’Europa del piano di utilizzo degli stanziamenti previsti dal Recovery Fund. La prima potrebbe avere conseguenze politiche, la seconda è quella in cui si gioca molto del nostro futuro. Una data cui anche il Quirinale guarda con una certa apprensione.



A quattro settimane esatte dal voto nessuno sa stimare con precisione gli effetti di una possibile sconfitta della coalizione che sostiene Conte. Dal 4-2 attuale si potrebbe passare a un 2-4, con l’affermazione del centrodestra nelle Marche e in Puglia, dove i sondaggi vedono il Pd in affanno. Certo, il premier ha messo le mani avanti, ha invocato l’alleanza, e quindi in caso di sconfitta potrà facilmente rimproverare i partiti che lo sostengono (“io ve l’avevo detto”).  Il problema di irrobustire l’alleanza, di conseguenza, rimane. Non a caso Di Maio l’ha riproposta in un’intervista domenicale, quantomeno per le amministrative del 2021, visto che per quelle di settembre ci si è mossi troppo tardi, con conseguente rivolta dei territori.



Sul versante opposto, all’avvicinamento fra Pd e M5s si è reagito con un patto anti inciucio sottoscritto non solo da Meloni (la proponente) e da Salvini, ma anche da Berlusconi. Un passo inatteso che prosciuga il centro e rende più difficile immaginare un “soccorso azzurro” a Conte, e anche la formazione di un partito del premier, che potrebbe attrarre qualche deluso di Forza Italia, ma non il suo leader.

Il muro contro muro fra maggioranza e opposizione, insomma, continua. E i problemi rimangono sul tappeto, irrisolti. Manca chiarezza sull’apertura delle scuole, così come sulla ricetta per affrontare la risalita dei contagi. E in quest’ambito è scontro totale sul tema migranti, con il governatore siciliano Musumeci che gioca di sponda con Salvini e mette alle strette l’esitante ministro dell’Interno, anche a costo di esorbitare dalle proprie competenze, decretando la chiusura di tutti i centri di accoglienza.

Nebbia fitta poi intorno ai progetti da finanziare con i fondi europei, quel debito “buono” invocato da Mario Draghi dal palco del Meeting di Rimini e che tanto si trova in sintonia con la spinta che viene da Mattarella. Spinta a una lungimiranza e scelte condivise che proprio non si vedono. Si preferisce procedere a colpi di bonus, di debito “cattivo”, sempre per usare le parole di Draghi. In parlamento le audizioni sul Recovery Fund cominceranno il 2 settembre, decisamente troppo tardi per incidere su un piano che rischia di essere raffazzonato all’ultimo e, quindi, trasformarsi in un’imperdonabile occasione perduta.

Potrebbe un rimpasto di governo dare nuovo slancio all’esecutivo? Potrebbe, certo, ma le quotazioni di quest’ipotesi sembrano in deciso calo. I rumors che vengono dalle spiagge (più che dai palazzi) indicano che il rimpasto piace ai partiti (con appetiti divergenti, però), ma trova sempre più freddo il premier, che pare abbia fiutato aria di trappola. E questo perché è difficile chiedere a una mezza dozzina di ministri in carica di dimettersi spontaneamente.

Le dimissioni di Conte sarebbero l’unica via per consentire di risistemare una squadra complessivamente scadente. Ma al Quirinale nelle consultazioni (che Mattarella non potrebbe non fare) potrebbero essere avanzati nomi alternativi al suo. Il fantasma è sempre lo stesso, quello di Mario Draghi, unico che potrebbe sbloccare un sistema paralizzato. Per Conte, insomma, il rimpasto può attendere, e ci si arriverà solo se il premier ci sarà davvero costretto.