Il tono felpato non inganni: quella di Mattarella è una sberla, non solo alla magistratura, ma anche alla politica. La commemorazione di Giovanni Falcone e delle altre vittime della strage di Capaci diventa l’occasione per il Capo dello Stato di quell’intervento sull’ordine giudiziario che è da mesi nell’occhio del ciclone delle polemiche, a partire dal suo organo di vertice, quel Consiglio superiore di cui Mattarella è, ex officio, presidente. Un intervento sollecitato da più parti.
C’è, anzitutto, tantissima delusione nelle parole di Mattarella. Rabbia, verrebbe da dire, perché tutti i suoi richiami precedenti sono caduti nel vuoto. Nel discorso dell’aula bunker il presidente fa riferimento a due occasioni, la prima addirittura del 2019. Si era all’inizio di questa stagione dei veleni, allora, e davanti al plenum del Csm l’auspicio del presidente fu di un volta pagina imminente. Mattarella sperava nell’autoriforma dei regolamenti e nella riforma, di cui la politica dibatteva animatamente.
Mai speranza fu più delusa. Inerti sia il governo che il parlamento. Un anno dopo la situazione si era fatta incandescente per le inchieste su Palamara. In occasione della commemorazione di ben sei magistrati uccisi dalla mafia e dal terrorismo, il Capo dello Stato pronunciò una condanna senza appello delle degenerazioni del correntismo, cui da Palermo ha aggiunto un nuovo capitolo: “Anche il solo dubbio che la giustizia possa non essere, sempre, esercitata esclusivamente in base alla legge provoca turbamento”.
In gioco per Mattarella è la credibilità dell’intero ordine giudiziario. E se i magistrati non sono capaci di autoriformarsi, tocca alla politica, che sin qui ha assistito inerte alla crisi della giustizia. Le parole del presidente della Repubblica sono scelte con cura: “Si prosegua, rapidamente e rigorosamente, a far luce su dubbi, ombre, sospetti, su responsabilità. Si affrontino sollecitamente e in maniera incisiva i progetti di riforma nelle sedi cui questo compito è affidato dalla Costituzione”.
Sembra quasi una divisione dei compiti: la magistratura faccia chiarezza sulle proprie magagne, la politica, parlamento e governo, metta mano alle riforme necessarie, visto che anche nell’ambito del Recovery Plan viene sollecitato al nostro paese un intervento per rendere il nostro apparato processuale più rapido ed efficiente.
C’è in questo un salto di qualità: mentre un anno fa il Quirinale sollecitava solo (si fa per dire) una riforma del Csm, oggi la pressione sulla politica è per una riforma più complessiva. Mattarella non si nasconde le difficoltà insite in un governo di grande coalizione, ma ricorda che il problema non può essere più eluso. Toccherà a Marta Cartabia, il ministro più vicino al Quirinale nel governo Draghi, provare a trovare una difficile sintesi.
Ci sono ostacoli oggettivi al dialogo fra i partiti, a partire dalla sentenza della Corte costituzionale che impone di abolire l’ergastolo ostativo, a carico dei criminali che non si pentono. C’è poi lo scontro sulla durata dei processi, con il Movimento 5 Stelle schierato a testuggine a difesa della riforma della prescrizione firmata dall’ex guardasigilli Bonafede, vista come il fumo negli occhi da tutto il centrodestra, di governo e non. E le polemiche scoppiate intorno alla revisione del “codice degli appalti”, per renderlo meno rigido e garantire tempi più certi alle opere del Pnrr, completano il quadro. Qualunque intervento in materia di giustizia, insomma, scatena bufere, viste anche le visioni antitetiche fra i partiti di governo su questo punto.
La Cartabia ha tutte le carte in regola per riuscire: da ex presidente della Corte costituzionale ha affinato la conoscenza della macchina giudiziaria, ha il prestigio per proporre soluzioni coraggiose e sa che la prima emergenza è quella dell’efficienza. Prima o poi, però, i nodi di fondo verranno al pettine. Feroci polemiche saranno inevitabili, e Draghi deve tenersi pronto a intervenire per parare i colpi che, inevitabilmente, toccheranno la sua guardasigilli.
Molto, però, dipenderà dall’atteggiamento della magistratura, e su questo le parole di Mattarella pesano sulle toghe come un monito: bisogna ricostruire una fiducia gravemente compromessa. Una difesa corporativa dei privilegi non sarebbe comprensibile.
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