Per i tantissimi cinesi appassionati d’Italia che il testimone del prossimo expo sia passato da Shanghai a Milano è motivo di simpatia, quasi una sottolineatura dei rapporti profondi tra le due antiche civiltà. Anche per questo hanno affollato il padiglione italiano a Shanghai, facendone uno dei più visitati insieme al padiglione cinese.



Dopo la tanta simpatia però arrivano anche le perplessità per la prossima manifestazione. Queste sono di due ordini, una logistica e l’altra strategica. Quella logistica e pratica sembra partorita tutta dentro il ventre italiano. A meno ormai di cinque anni dall’apertura dei battenti di Milano 2015 non si sa nemmeno dove si terrà l’Expo. Non v’è certezza del futuro, di quanto sarà distante dal centro, quindi di come ci si arriverà, di quanto sarà grande eccetera.



È un dramma italiano, certo: anche alle olimpiadi invernali di Torino ci fu panico fino all’ultimo e poi sul nastro del traguardo tutto andò a posto come con una pila di tessere di domino. Ma questa volta potrebbe essere diverso, perché gli italiani non sono soli: i paesi ospiti devono costruirsi il loro padiglione e loro possono avere tempi e procedure che non coincidono con quelli della leggendaria creatività o dello spirito di improvvisazione italiana.

Ma questo in fondo è una questione di dettaglio, di organizzazione, cose che in qualche modo, bene o male, comunque si risolveranno. Più complicate sono invece le questioni strategiche dell’expo milanese rispetto a quello di Shanghai.



Le esposizioni universali esplosero tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 quando il mondo, in realtà l’occidente, si proiettava verso la modernità e sognava il nuovo nei prodotti e nell’ingegneria. Le esposizioni diventarono una specie di grande fiera delle cose più fresche del futuro che si proiettava nel presente in maniera efficiente, perché la fiera, nel mondo di prima della televisione e di internet, rimaneva il modo in sostanza unico di guardare le cose.

 

La torre Eiffel a Parigi era un capolavoro delle possibilità ingegneristiche a cavallo tra i due secoli, oggi è il monumento attuale a quel sogno avveniristico, ed è diventato una specie di archeologia del presente, il ricordo di quando l’immagine del futuro aveva quella forma.

Ma oggi, con le applicazioni multimediali e la velocità della rete e dei telefonini, ognuno può vedere in ogni istante i prodotti che arriveranno sul mercato nei prossimi mesi. L’expo universale così è passato nei fatti dai viali della fiera ogni cinque anni allo schermo del telefonino ogni cinque minuti.

Così gli expo negli ultimi decenni si sono spenti, hanno perso il grande fascino e la grande attrattiva. Infatti chi si ricorda quale era l’expo prima di Shanghai? E quello ancora prima? È un indovinello, una domanda per esperti, da parole crociate.

Ma Shanghai è stato diverso perché i cinesi hanno avuto una strategia. L’idea era doppia, per l’estero e l’interno. Fuori si voleva mostrare al mondo quel miracolo che è stata la Cina negli ultimi 30 anni e che vuole essere la Cina nei prossimi 30. Questo è un prodotto di per sé non apprezzabile attraverso le immagini, per quanto nitide.

All’interno invece Shanghai voleva mostrare il mondo. Solo una minoranza di cinesi può oggi e potrà nel prossimo futuro vedere il mondo, per questioni economiche e perché i paesi concedono pochi visti. A Shanghai invece quasi 70 milioni di cinesi hanno potuto dare un’occhiata al mondo.

Quindi l’idea di Shanghai era di mostrare la Cina al mondo e il mondo ai cinesi. Idee forti, portate avanti con grande precisione e determinazione.

Quali sono invece le idee di Milano? Naturalmente non si tratta di pescare idee, che in Italia, si sa, si trovano ad ogni angolo di strada, ma di trovarne alcune che possano avere grande fascino per l’Italia e per il mondo e che poi siano portate avanti sempre con precisione e determinazione, perché una bella idea senza precisione è solo un sogno.

Questo ancora non si vede da Milano, e, se non arriva rapidamente, Milano forse rischia di vivere per un po’ della luce riflessa da Shanghai ma poi di spegnarsi presto, nell’indifferenza altrui e tra la folla di polemiche interne che già da tempo si anima in Italia.