Il passato in Italia sembra non passare mai e le recenti fotografie di Di Pietro ai tempi di “Mani Pulite” ci riportano a fare i conti oggi con il passato e riportano all’attualità i discorsi sollevati per i i dieci anni dalla morte di Craxi. In quell’occasione l’Italia ha riscoperto questo leader politico e, compatta, lo ha celebrato come un grande statista. Non si è trattato solo di un doveroso tributo a un defunto, ma a un ripensamento su una fase durissima della vita politica italiana arrivata al suo punto estremo con quella morte. Berlusconi ha partecipato alle celebrazioni in prima fila ma si è astenuto dal parlare. Di quelle vicende e di Craxi il premier è politicamente figlio.

Probabilmente non sarebbe entrato in politica se quella sinistra che espulse Craxi non avesse minacciato di farlo a pezzi economicamente. Non è un mistero che Berlusconi scelse di “scendere in campo” per difendersi visto che era considerato il frutto del regime craxiano e come tale andava “estirpato”. Se gli fosse stata offerta una tregua, un’altra via probabilmente non avrebbe scelto di entrare in politica, allora forse la sinistra avrebbe vinto le elezioni del 1994 e la storia d’Italia in questi 15 anni sarebbe stata molto diversa.

Oggi per certi versi Berlusconi si può sentire come il Craxi di inizio anni Novanta, assediato da un nugolo di attacchi. Un rapidissimo elenco: c’è la vicenda dell’avvocato Mills, la sentenza che gli impone di pagare 750 milioni di euro a De Benedetti, il suo nome affiora nelle più recenti rivelazioni dei pentiti di mafia, l’ex moglie Veronica minaccia cause per la divisione del patrimonio, ci sono fresche accuse per evasioni fiscali e altro riguardo il pagamento all’estero di diritti televisivi. Sono tutte vicende nuove, che vanno al di là della vecchia questione del conflitto di interessi, e che minacciano non solo di porre fine al suo potere ma anche a tutta la sua fortuna economica. In altre parole sembra di essere tornati agli anni Novanta quando Craxi era in fuga.

Per l’opposizione queste vicende dimostrano che Berlusconi non è interessato alla politica e al Paese, ma solo a salvare se stesso. Berlusconi è ancora più convinto che l’opposizione non vuole farlo governare, non pungola sulle decisioni politiche ma sposta tutto sulla vicenda personale.

Il risultato netto non cambia in ogni caso: l’Italia resta senza politica in un momento storico di cambiamenti epocali a livello mondiale e nel quale la politica sarebbe necessaria quanto non mai. Questi 15 anni di assenza di politica in Italia sono stati il periodo in cui la Cina e l’Asia sono emerse nel mondo, in cui l’asse economico politico globale si è spostato dall’Atlantico al Pacifico, in cui la nuova minaccia è diventata non il comunismo, ma il terrorismo di matrice estremista islamica. In particolare negli ultimi mesi abbiamo visto l’emergere di un G2 di fatto tra Usa e Cina e in questi giorni anche l’arrivo di una prima profonda crisi di questo G2.

Di fronte a tutto questo l’Italia è stata zitta come fosse incapace di pensare e agire, avvolta, come tra le spire di un bozzolo, solo sulla questione Berlusconi sì Berlusconi no.
È chiaro che il vero problema, a dieci anni dalla morte di Craxi, è che questi anni sono passati invano, che nessuno ha ancora vinto in questa lotta per o contro Berlusconi, perché Berlusconi è ancora al potere, ma è ancora assediato. È il passato che non passa, è l’essere ancora in mezzo a un guado, incapaci di avere una vittoria chiara o anche un compromesso.

Craxi, con la sua politica, condivisa con Andreotti, di riposizionamento dell’Italia all’interno dell’alleanza atlantica verso il Mediterraneo, di sostegno della spinta verso l’unione politica europea, appare oggi un miraggio, una stella polare lontana e irraggiungibile. Oggi che gli orizzonti globali sono cambiati, che l’ultimo atto di grade politica estera italiana è stato lo sforzo di Andreotti e De Michelis di riaprire il dialogo con la Cina dopo i fatti di Tiananmen del 1989, ci vorrebbe molto altro. Ma le vicende patrimonial-giudiziarie di Berlusconi imprigionano tutto e tutti.

L’Italia dovrebbe uscirne, ma proprio la vicenda Craxi prova la difficoltà italiana a trovare soluzioni politiche a questioni che possono avere risvolti giudiziari ma che hanno comunque un impatto devastante nella politica nazionale. Vicende di corruzione della politica non sono un’esclusiva per l’Italia, ma sono connaturate con la politica stessa. In altri paesi si trovano però compromessi che da una parte espellono il politico corrotto, o presunto tale, ma d’altro canto ne salvano un minimo di incolumità personale. In questo modo si opera contro l’ideale della legge uguale per tutti, ma si tenta di minimizzare lo scontro politico. Il politico in uscita ha un incentivo a non perseguire una rovinosa lotta per la sua sopravvivenza perché gli si offre una via di uscita onorevole. Questa soluzione crea poi fiducia reciproca fra le parti e rafforza la tenuta complessiva del sistema politico.

 

In Italia non ci sono state negli anni Novanta uscite onorevoli per i politici: o si tiene il posto contro ogni burrasca o si rischia l’infamia massima. Anche qui ci sono due versioni delle ragioni di questo problema. Gli accusati dicono che non possono dimettersi perché altrimenti rischiano tutto, anche la vita, come nel caso di Craxi; gli accusanti dicono che l’unico modo per spingere un politico alle dimissioni è quello di alzare il livello dello scontro.

Di fatto oggi se anche Berlusconi volesse lasciare la politica non si fiderebbe delle offerte conciliatorie degli avversari. Né gli avversari demordono, per timore di essere travolti dall’ondata della restaurazione. Quindi Berlusconi rimane, si difende fino all’ultimo, gli avversari fanno lo stesso e la situazione non migliora, anzi.
Di certo gli scandali urlati sui giornali non sono una rarità in Italia ma pane quotidiano. Il fango viene scagliato dall’uno all’altro fronte dello schieramento, come se sguazzare nel fango fosse la cosa più normale del mondo. Come una volta si era todos caballeros, ora si è tutti infangati. Sembra che sia venuta a mancare un’intera cultura politica, i politici non sono più il meglio del Paese, sono una delle sue facce peggiori, quella da cui ogni persona davvero per bene vuole tenersi alla larga.

Forse per ritrovare una politica c’è bisogno di rifondare una cultura politica in Italia. In Cina il processo di riconciliazione in corso con Taiwan è passato con una riconciliazione culturale profonda con la storia. I nazionalisti, sconfitti dai comunisti nel 1949, sono stati riabilitati a Pechino. Certo sono passati decenni, però quella fu una guerra che fece milioni di morti, spezzò e distrusse famiglie, affetti, con fratelli divisi a combattersi l’uno contro l’altro. L’Italia di questi anni non ha poi mai raggiunto quella crudeltà e quella disperazione. Questo dovrebbe accorciare i tempi della riconciliazione.

Ma c’è ancora un altro elemento su cui forse occorre riflettere. L’offensiva dei giudici agli inizi degli anni Novanta, la discesa in campo di Berlusconi furono entrambi elementi che sparigliarono completamente l’ordine della politca italiana fino ad allora. Forse oggi per uscire da questo stallo occorrono iniziative altrettanto grandi e importanti. Ci vuole l’ingresso in politica di nuove forze con nuove idee fuori dagli schemi tradizionali. Forse alla fine solo così si potrà davvero rendere onore alla morte di Craxi e di quanti, lottando per lui o contro di lui, hanno creduto onestamente di battersi per il bene dell’Italia.