Lo confesso, questa è l’Italia che proprio non capisco, quella che sviscerata, spostata da destra a sinistra, da nord a sud, sminuzzata in tutti i tatticismi che la perseguitano rimane comunque incomprensibile. Non ne capisco la logica o le ragioni e rimango attonito e incredulo: c’è proprio qualcosa che non funziona nel Belpaese o sono solo stupido io. Sicuramente è la seconda ipotesi, ma anche per avere una seconda opinione eccovi i fatti.
All’inizio del 2009 la più grande azienda di logistica del mondo, la Hutchinson Wamphoa di Hong Kong, sbarca a Taranto comprando metà delle azioni del suo porto. L’altra metà appartiene a un altro gigante della logistica, la Evergreen di Taiwan, che era entrata a Taranto alla fine degli anni ‘90. La Hutchinson è poi proprietà di uno degli uomini più ricchi del pianeta, Li Ka-shing.
Taranto ha una posizione ideale tra Suez e Gibilterra, tanto che già Napoleone la voleva sfruttare per conquistare il Mediterraneo, e lo stato italiano neounificato nel 1864 ne fece la sua maggiore base navale militare. In base alla geografia i cinesi fanno dei conti quindi semplici: l’economia cinese e asiatica tirerà sempre di più, gli interscambi con l’Europa cresceranno e Taranto quindi è nella posizione ideale per diventare un porto più importante di Rotterdam.
Inoltre Taranto ha fondali profondi e un retroterra senza montagne e vuoto dove ci si può espandere per tutti i servizi possibili. Questi cinesi poi non sono quelli “comunisti” di Pechino, anzi. Li Ka-shing è cresciuto all’ombra della regina d’Inghilterra, e all’Evergreen ci sono i cinesi “americani” di Taiwan, con ottimi rapporti a Washington. Certo, hanno anche con ottime relazioni con Pechino, ma come un plus senza un meno.
Vista da lontanissimo la storia sembra solo piena di cose buone per la Puglia e per l’Italia. Questi cinesi potrebbero investire 500 milioni di euro tanto per iniziare a trasformare il porto, ma poi potrebbero crescere molto di più. Se Taranto diventa la Rotterdam del Mediterraneo agganciata all’Asia e alla Cina cambia la questione meridionale e tutto il Paese. Il sud diventa un motore di sviluppo autonomo, non più una specie di fardello porta-voti appeso al nord produttivo. L’Italia del sud diventa un asse su cui comincia a gravitare il nord Italia e mezza Europa e che si proietta verso le spiagge più attente del nord Africa.
Ci sono poi investimenti immediati da fare per allargare il porto e adattarlo alle nuove, prossime necessità, e ci sono investimenti futuri per nuove industrie che possono sorgere intorno a un enorme sistema di smistamento dei container. In fondo Singapore, città stato più ricca della Svizzera, deve tutto all’aver saputo far crescere il suo porto.
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Tutti i tarantini e gli italiani dovrebbero far festa e ponti d’oro a questi investitori che promettono sogni di benessere e ricchezza. Ma così non succede. I lavori infrastrutturali vanno a rilento, alle banchine manca l’acqua potabile e servizi minimi, altri imprese locali sono fredde quando non si mettono addirittura di traverso. Il sindaco Ippazio Stefano non si precipita da Li Ka-shing per ringraziarlo e mettersi a diposizione, né per la verità lo fa il presidente della regione Puglia Nichi Vendola o il presidente del consiglio Silvio Berlusconi. E i giornali ignorano largamente la vicenda.
Così, mentre i lavori infrastrutturali languono, e si offuscano le prospettive di un vero impegno italiano a tutti i livelli su Taranto, Li Ka-shing e soci cominciano a pensare che forse hanno sbagliato tutto e quindi pensano che forse è meglio andarsene. Ogni buon investitore sa che ci sono delle soglie oltre le quali bisogna tagliare le perdite, e Taranto rischia di essere una perdita senza fondo perché non ci sono prospettive e il lavoro in loco è sempre più faticoso.
I cinesi diminuiscono il traffico di container e si raffreddano sempre di più con il passare dei giorni e delle settimane. Per Taranto, la Puglia e l’Italia tutto rischia di trasformarsi in un’enorme occasione mancata. E certo l’Italia o Taranto non navigano nell’oro. Il Paese e la stampa si è stracciata le vesti e strappata i capelli perché la Fiat sta facendo un investimento in Serbia anziché in meridione. Ma l’investimento della Fiat forse non vale un ventesimo di quello che starebbe per fare Li Ka-shing e con un milionesimo delle sue potenzialità.
Ma per la Fiat si fa chiasso, per Li c’è solo silenzio. Perché? Forse perché la Fiat è nota e Li Ka-shing è ignoto, perché vale molto di più conservare quel poco che si ha che cercare di aprirsi al molto che è a portata di mano, perché gli italiani sono diventati profondamente conservatori e non sanno neanche immaginare di cambiare anche se in bene e benissimo.
Queste sono tutte ipotesi. Di fatto però la posta è altissima anche per lo scambio politico alla vigilia delle prossime elezioni politiche ormai. Vendola potrebbe impugnare il porto di Taranto come un randello contro Berlusconi e quindi mettere il volano alle sue ambizioni di diventare leader della sinistra e forse anche un’alternativa al centrodestra. Berlusconi a sua volta potrebbe usare la storia di Taranto per rovesciare Vendola, provandone l’inefficienza. Potrebbe quindi riappropriarsi della Puglia, regione cruciale. Inoltre con la storia di Taranto e dello sviluppo meridionale Berlusconi potrebbe tarpare le ali secessioniste della Lega, e mettere Lombardo e i suoi siciliani riottosi in un angolo.
Dovrebbe esserci quindi una corsa nelle prossime settimane, che avrebbe per una volta il vantaggio di non essere intorno a una questione sterile, ma su una vicenda con il potenziale di cambiare l’Italia e l’Europa. Finora non c’è stata. Ci sarà? Per l’Italia, a giudicare da quanto è accaduto nei mesi scorsi, è probabile di no.