In questi giorni nel centrodestra la Lega Nord continua a chiedere una svolta sulla strada del federalismo, nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Si tratta di un passaggio molto controverso,  il rapporto tra Nord e Sud è, infatti, alla base delle difficoltà culturali, sociali ed economiche del paese e il Carroccio su questo tema continua a inviare un messaggio forte e chiaro.

Parallelamente la sinistra sembra essersi persa nel più classico dei bicchieri d’acqua: le primarie di partito. Un argomento che non dovrebbe avere lo stesso peso della riforma federale, ciononostante si continua a discutere di questo strumento senza capire se si svolgeranno o meno. Esistono infatti questioni di merito e nodi mai sciolti: la dirigenza del Partito Democratico vorrebbe un candidato premier che difficilmente sarebbe scelto nelle primarie e quindi eletto in un voto alle urne.

L’elettorato di sinistra, nel frattempo, soffre questa situazione e si consola simpatizzando per Renzi, il giovane che governa Firenze. Si commuove ascoltando Vendola e il suo parlare spinto e non ostruito  dalla sulla “s” moscia.
Le preferenze sessuali del governatore pugliese sono diventate ormai una bandiera, quasi un segno di normalità in un Paese che sembra essere diventato quello del machismo forzato fino agli ottant’anni…

Tutto questo dibattito, agli occhi della Cina, appare comunque molto arretrato. Stiamo parlando, infatti, di un Paese che dà fiato e motore al cambiamento epocale che arriva dalle economie emergenti, un 80% di popolazione mondiale che una volta era chiamato pudicamente “Terzo mondo”.

E così gli slogan sull’importanza dei diritti ai cinesi sembrano giusti, ma allo stesso tempo appaiono come grida vuote e roche. Cose antiche, di altri tempi, conservatrici e non proiettate verso il futuro. Dov’è finito il progressismo che una volta distingueva gli uomini di sinistra? Perché la sinistra non pensa a cosa può fare per l’Italia e si interroga solo su cosa dovrebbe fare l’Italia per la sinistra?

Domande che giacciono inascoltate. Nel frattempo il centrosinistra continua a compilare l’elenco di una lunga serie di diritti che spetterebbero a tutti gli individui, ma in un mondo ideale. Si potrebbe aggiungere alla lista, senza alcuna paura, una vacanza alle Maldive, la pensione a 40 anni dopo dieci anni di lavoro e 100.000 euro di paga annuale minima…
La vera domanda però è: quanto potrà sopportare il Paese, quanto resisteranno le sue aziende in un momento in cui sta cambiando l’ordine politico ed economico mondiale e non si conosce il ruolo che potrà avere l’Italia?

Il governo dovrebbe aiutare i piccoli valorosi a diventare grandi e, sulle scelte strategiche, forse c’è da imparare proprio dalla Cina, il fenomeno dell’economia mondiale il cui Pil da 30 anni sta crescendo a una media del 10% l’anno.

Una delle chiavi del successo è stata la facilitazione fiscale: chi investiva aveva esenzioni dalle tasse, terre dove costruire gratis o a ottimo prezzo. Soltanto alla fine c’era anche il bonus della manodopera a basso costo. Domanda: In Italia non si possono sostituire i sussidi al Sud con una politica di sconti fiscali che premino le aziende che fanno profitto e reinvestono? Sarebbe anche un importante cambio culturale visto che le aziende dovrebbero muoversi per stare sul mercato ed essere efficienti, non per stare nei salotti o negli uffici giusti di Roma per ottenere la prebenda.

Queste idee non sono nuove. Francesco Giavazzi le ha lanciate anni fa in Italia, ma sono rimaste lettera morta. Una nuova sinistra non potrebbe abbracciarle? Non sarebbe il modo giusto per mantenere un certo livello dei salari operai tagliando comunque i costi di produzione?
Certo, le minori entrate fiscali implicano che il settore statale debba ristrutturarsi complessivamente, ma questi sono cambiamenti ineludibili.

Non c’è niente da inventare, bisogna capire cosa c’è nel Paese.
Dall’esterno, infatti, l’Italia non è la “valle di lacrime” che si legge sulla stampa italiota. Vista dall’estero oltre all’"italietta" che si straconosce, c’è anche una “SuperItalia” fatta di imprenditori modesti, umili, che vivono nell’ombra e che magari sono i leader mondiali nei propri settori. Le piccole e medie imprese sono cresciute infatti in questi anni accanto ai grandi successi internazionali della Fiat, dell’Eni, delle Generali o di Finmeccanica.

Tornando alla politica, si pone quindi un problema: chi può colmare il vuoto a sinistra?  Nel centrodestra Forza Italia è emersa dopo lo scioglimento della Democrazia Cristiana e ha giocato il non marginale ruolo storico di rinnovare volti e pensieri della destra italiana. Berlusconi era un imprenditore alle corde, minacciato dalla sinistra di essere portato al fallimento, con larghe disponibilità di liquidi e di uomini per organizzare rapidamente una forza politica alternativa.

Quale potrebbe essere oggi il nome nuovo della sinistra italiana, senza aver niente da perdere nello scontro con il governo in carica? Chi può rinnovare volti e pensieri di questo schieramento? Visto da Pechino: nessuno scalpita nell’angolo, a meno che Vendola faccia un salto di qualità sostanziale nella sua proposta politica.

Senza una soluzione in questo senso resta un problema vero nella democrazia italiana: senza un’opposizione vera, non c’è alternativa reale al governo. Si ricade in qualche modo allo scontro frontale tra Dc e Pci prima del crollo del Muro. Le alternative al governo sono tutte alchimie intorno ad alleati attuali o passati di Berlusconi, così come i rimpasti di governo della vecchia Dc erano giri di poltrone che non cambiavano la centralità del vecchio partito.

Nonostante i meriti di Berlusconi, che può essere un grandissimo premier, una democrazia senza opposizone e senza alternativa indebolisce la democrazia italiana e lascia il Paese monco.

Ma anche questo, agli occhi di un cinese, è forse un dato storico: ogni paese è figlio della sua tradizione e l’Italia dal ’48 in poi ha nel suo destino quello di essere una democrazia sbilenca…