L'”invasione” dell’Italia che avevamo invocato qualche giorno fa (vedi link) è cominciata e così sono anche aumentate le probabilità di salvezza del Paese. Ma questo, come sempre, ha avuto il suo prezzo. Il presidente francese, Nicholas Sarkozy, e il cancelliere tedesco, Angela Merkel, hanno imposto al governo di Silvio Berlusconi un compito duro e difficile di cui non conosciamo i dettagli, ma le cui linee generali prevedono certo lacrime e sangue per il prossimo futuro.



Non si sa se in tali condizioni il governo ce la farà, in generale, se ce la farà in questa formazione o se avrà bisogno di un rimpasto importante sostituendo, come si legge da più parti oggi, al Ministero del Tesoro Giulio Tremonti con Mario Monti.
Di certo, con o senza Monti, l’Italia oggi è un Paese a sovranità limitata e la crisi italiana ha contribuito a ricreare un direttorio franco-tedesco che dovrebbe far muovere l’Unione europea nel senso di una maggiore integrazione politica.



Si è confermato così, per l’Italia degli ultimi 15-20 anni, un fenomeno che è molto bizzarro se visto da fuori. Il Paese è capace di muoversi sotto la minaccia di una pressione esterna, oggi, come nel 1998 al momento dell’adesione all’euro con il governo allora di Romano Prodi; resta invece immobile, paralizzato dalle lotte intestine se lasciato a se stesso, indipendente.

E sembra tanto più bizzarro che ciò avvenga durante il 150° anniversario dell’indipendenza italiana e che tra quelli che “si piegano al tedesco” ci sia proprio la formazione politica, la Lega, che ha preso a simbolo la lotta di indipendenza dal Sacro Romano impero di Federico Barbarossa.
In realtà queste ironie dimostrano solo la profonda incapacità dell’attuale classe politica italiana, ma non aggiungono o tolgono nulla alle necessità strategiche del paese.



In un mondo di mega-stati, come la Cina, l’India, l’Indonesia, il Brasile o gli Stati uniti, l’Italia lasciata a se stessa e senza grandi idee in un decennio rischia di crollare al livello della Thailandia o della Colombia. L’orizzonte di sopravvivenza politica ed economica dell’Italia è quindi l’Europa.
Il problema vero allora diventa per il prossimo futuro come può consolidarsi e strutturarsi questo nuovo direttorio franco-tedesco in maniera meno episodica di quella attuale e che ruolo possono avere l’Italia e tutti gli altri stati minori in tale direttorio.

Infatti qui c’è un problema di democrazia che va guardato in maniera cosciente anche perché ha e avrà un impatto sul problema della democrazia globale.
I leader europei in questa crisi hanno preso decisioni sull’Europa e sull’Italia fuori dal contesto del dibattito nazionale dei partiti (che ha peraltro ostacolava e ricattava tale processo decisionale). I mega dirigenti dell’Unione europea sono burocrati che rappresentano se stessi mentre Sarkozy e Merkel al massimo rappresentano i rispettivi elettorati, i quali restano una minoranza della totale popolazione europea coinvolta nelle loro decisioni di politica economica.

In sostanza quindi, vuoi per mancanza di capacità di convincere la popolazione europea su scelte politiche da parte dei leader, vuoi per difficoltà oggettive dei nuovi processi di comunicazione, sotto schiaffo di giornali o messaggerie di telefonini, il processo democratico in Europa sta cambiando natura. Questi sono dati oggettivi, né buoni o cattivi.

Il problema è solo su queste premesse se i politici italiani vogliono avere una voce all’interno del nuovo direttorio franco tedesco sull’Italia e sull’Europa o se vogliono rimanere amministratori di politiche altrui.

I due elementi non sono collegati e sono entrambi legittimi. Il signor Bianchi può voler fare solo il sindaco di Rovigo, amministrando a livello locale politiche generali altrui, oppure ha ambizioni più ampie. Tali ambizioni però non possono basarsi solo su un salto di volontà: “voglio andare a Roma o a Berlino”, ma devono radicarsi su idee, preparazione, progetti che devono andare oltre i confini di Rovigo.

Oggi, guardando da fuori, non ci sembra che molti politici Italiani abbiano idee o progetti in grado di intervenire concretamente nel processo di integrazione europeo, e poi per potervi intervenire occorrerebbe la credibilità che viene dal rimettere la propria casa in ordine.
Queste scelte hanno ricadute, nel breve o lungo termine, importanti a tutti i livelli, che possono andare dall’orario di apertura dei negozi al destino delle banche o delle assicurazioni. Se l’integrazione europea continuerà a passare completamente sopra la testa degli italiani, come sta accadendo ora, naturalmente gli interessi delle varie Rovigo non saranno rappresentati a Berlino o altrove e le scelte europee piccole e grandi potrebbero non essere allineate con quelle locali.

In questo caso, forse anche per limitare tali rischi, i franco-tedeschi hanno scelto un italiano, Mario Draghi, per guidare la Banca europea. In questo caso e in questo frangente di fatto Draghi potrebbe assumere quindi il ruolo di fatto di simil governo tecnico italiano, come fu quello di Carlo Azeglio Ciampi nel 1993, proprio dopo quella crisi di Mani pulite che tanto somiglia al momento attuale.

Allora forse, più che a Roma gli occhi italiani dovrebbero essere puntati a Francoforte. Ma questo per giornali e opinione pubblica italiana sarebbe ammettere il declassamento politico del Paese. Probabile allora che, come i giornali locali, la Gazzetta di Mantova o il Corriere di Rovigo, i media italiani si concentreranno sulla cronaca di cortile, come una specie di spasso da passeggio, mentre la grande politica che condiziona tutto si allontanerà sempre di più.

Viste da Pechino, o da altre capitali lontane, tali scelte sono in effetti indifferenti. L’augurio da qui resta solo che la convergenza politica europea proceda in maniera celere perché una spaccatura dell’euro comporterebbe rischi incomputabili in un momento particolarmente delicato dell’economia e della politica globale.