Dei temi e delle grandi idee politiche, o meglio della loro totale assenza, sul Sussidiario abbiamo già parlato; quello che però sembra stia accadendo in questi giorni nella politica italiana è qualcosa di ancora più sistemico. Val la pena di notare, tra l’altro, come l’uscita e il ritorno sulla scena di Berlusconi nello spazio di tre giorni non sia la smentita, quanto piuttosto la conferma di questo fatto.

I partiti, la struttura angolare dell’organizzazione politica italiana, si stanno sgretolando, come successe già agli inizi degli anni 90 ai tempi di Mani pulite. Solo che allora la dissoluzione della Democrazia cristiana, che aveva guidato l’Italia per quasi mezzo secolo, non avvenne in uno stato di vuoto partitico totale.

Allora il Pci cambiò nome, la sua struttura assorbì una folla di dispersi da altre formazioni e per qualche mese sembrò che dovesse dominare la scena senza avversari. Rapidamente però Berlusconi formò il suo “Forza Italia” e lo spazio partitico tra destra e sinistra si ricompose senza vuoti.

Oggi invece la scomposizione è equanimamente bipartizan mentre il nuovo che arriva, Grillo, non è nemmeno rappresentato in parlamento, si erge come leader messianico, e nemmeno vuole un partito.

A destra il Partito delle libertà che cinque anni fa aveva sbancato le elezioni con una maggioranza quasi bulgara, è ora il fantasma di se stesso. Le percentuali che qualche mese lo davano già a un povero 20% oggi dicono che è invece al 5-6%. Si tratterà di capire se il quasi-ritiro di Berlusconi porterà ad un reale rinnovamento della classe dirigente oppure no. A sinistra, il Partito democratico che si dice da solo di essere il futuro trionfatore, è spaccato in tre con Bersani capo ufficiale, ma sotto nei sondaggi rispetto a Renzi e forse anche a Vendola. Quest’ultimo è nel partito ma con un piede fuori, quasi pronto a fare la rivoluzione come sembrano intenti a fare quelli dell’Italia dei Valori, la Lega e Beppe Grillo, nuotatore, scalatore, monologatore.

Quindi è una situazione totalmente nuova per l’Italia dal dopoguerra in poi. Semplicemente, a forse meno di sei mesi dalle elezioni, mancano partiti grandi e forti e quelli che ci sono, come il Pd, paiono una galassia confusa. Tutti poi, compreso Grillo, senza un’idea su cosa fare una volta preso il potere – al quale il comico appare sempre più vicino; a cominciare forse dalla Sicilia? Si tratterà di attendere poche ore per saperlo.

Eppure l’assenza sembra poi una questione minima alla luce dello sfaldamento delle strutture che queste idee dovrebbero portare. Naturalmente tale sfaldamento è inevitabile se manca un’idea che dà senso alla struttura. Un partito si organizza in base a un progetto, se manca il progetto e i politici stanno insieme solo per affari, quando gli affari diminuiscono tutti si dileguano e il partito scompare.

Tale situazione pare simile a quella dell’Italia dopo la prima guerra mondiale. I partiti tradizionali si scioglievano, indecisi e confusi, mentre incrementavano il loro consenso Mussolini, un leader messianico che vestiva le sue idee sulla camicia, nera, e un partito nuovo, quello comunista, determinato a rovesciare tutto l’esistente, senza troppo pragmatismo, come ammise Gramsci nelle sue analisi successive.

Certo allora Mussolini era spaventoso, eppure la verità è che l’errore non fu suo, ma di quelli che gli permisero di prendere il potere. Allo stesso modo oggi Grillo ha una concreta speranza di prendere il potere perché gli altri partiti si stanno sciogliendo davanti a lui come nebbia al sole. Ciò non per virtù di Grillo ma per mancanza di virtù altrui.

A pochi mesi delle elezioni non è molto ragionevole pensare che i partiti tradizionali facciano oggi quello che non hanno fatto finora. La possibilità concreta è che di fronte all’assenza delle idee, delle strutture, oggi come quasi un secolo fa, trionfi il messia.

Se Grillo prendesse la maggioranza relativa, come non è impossibile che avvenga, la sua vittoria corroderebbe le fragilissime strutture degli altri partiti e ci sarebbe poi la corsa a intrupparsi con il trionfatore. Certo Grillo è un cataro, o tale vuole mostrarsi, ma molti si farebbero penitenti e il problema potrebbe diventare non quanti si schiereranno con Grillo, ma quanti Grillo accetterebbe o respingerebbe nella sua nuova cornice. Una conseguenza molto pratica è che l’ex comico Beppe Grillo potrebbe anche diventare presidente della Repubblica o scegliere l’uomo per la massima carica dello Stato.

Il fatto è che le cose italiane, viste da lontanissimo, appaiono assai semplificate. Il problema forse non verte più sul fatto che i partiti tradizionali si “convertano” e fermino Grillo. Per questo forse non c’è più tempo e spazio. Una speranza forse maggiore è che la conversione tocchi Grillo, il quale, davanti al problema concreto di governare, decida di scegliere persone capaci di cambiare il Paese, in accordo o meno con il suo movimento.

È reale questa possibilità, o è solo un sogno? Dalla Cina è difficile giudicare, ma certo, per quanto sia vaga, ormai la speranza della redenzione del messia in leader politico autentico, pare più concreta della possibilità che i partiti antichi ritrovino la forza di riorganizzarsi davvero. 

Forse questo è il testamento più autentico della profondità della crisi attuale in Italia.