Silvio Berlusconi ha annunciato che non abbandonerà la politica italiana e che anzi, come molti prevedevano, si candiderà alle prossime elezioni, sancendo, nella primavera del 2013, praticamente il ventennale della sua discesa in campo.

Per i votanti di Grillo, attestati oggi secondo i sondaggi tra il 10 e il 20%, e per tutti coloro che oggi inseguono il politico genovese sul suo terreno, Di Pietro, Vendola, la Lega di Maroni (ciascuno intorno al 5-6%), si tratta di una manna. Berlusconi rappresenta l’antico, il ventennio che ha portato al disastro odierno, l’assenza delle riforme necessarie.

Il suo ritorno in campo quindi potrebbe essere la garanzia per tutti loro di vittoria collettiva, di impossessarsi (in base ai numeri di oggi) tra il 50 e il 35%, una percentuale di voto in grado di formare un governo davvero alternativo o comunque di condizionare pesantemente le scelte del Paese.

Potrebbe essere così, ma potrebbe essere anche diversamente. Berlusconi ha dimostrato in questi anni di avere un fascino e una forza elettorale particolare, e in effetti dacché si è sparsa la voce della sua ridiscesa in campo i sondaggi del suo partito hanno ripreso a montare. Ciò non prova certo niente di concreto, ma prova che i giochi politici con Berlusconi in campo non sono così ovvi.

Berlusconi inoltre ha un’organizzazione di partito che è ancora tra le più forti in Italia, ha le più grandi risorse finanziarie fra i partiti del Paese e si siede in un angolo politico che ha fatto la maggior parte dei governi della storia d’Italia, l’angolo della maggioranza silenziosa, dei moderati di destra.

Forse queste sono garanzie per non perdere (almeno, non perdere troppo), forse per vincere in maniera decisa. Berlusconi però dovrebbe anche pensare ad altro, a togliere argomenti ai suoi avversari e a portare il rinnovamento che serve all’Italia per non affondare. Certo Berlusconi ha promesso per quasi vent’anni tale rinnovamento, che poi non ha portato, ma stavolta con l’Italia quasi affogata, potrebbe essere il momento giusto. Inoltre se nei processi concreti ha fatto poco, nella scelta del personale è stato quasi rivoluzionario.

Nel suo primo governo ha portato un gruppo di professori, Martino, Urbani, Pera, quasi antesignani dei professori al governo oggi. Inoltre, cinque anni fa, con un colpo di mano ha tolto i professori e scelto un gruppo di controverse signorine, dalla Gelmini alla Carfagna, e le ha fatte ministre. La decisione sarà stata discutibile ma almeno era innovativa, e non ripescava burocrati di partito senza troppa arte o parte.

Oggi dovrebbe scegliere nuove persone, e questo potrebbe essere facile, ma dovrebbe anche scegliere un programma di cose da fare, e dovrebbe (questo è il suo forte) ridare speranza all’Italia, stavolta in maniera concreta. Mentre i suoi oppositori in pratica urlano solo dei grandi no alla politica di governo senza proporre alcuna alternativa concreta, lui potrebbe proporre delle vere innovazioni. L’Italia ne ha bisogno, per restare in Europa, per calmare i mercati e per salvarsi da un tracollo che potrebbe essere peggiore che dopo una guerra. A Berlusconi, anche di fatto, il compito di decidere il da farsi. Le cose da fare e un’idea forte per dare speranza all’Italia ci sono, alcune ovvie, altre meno.

Certo deve procedere con le privatizzazioni, liberalizzare le procedure per creare un’impresa, e trasformare la cultura imperante del cercare un impiego come rendita di lungo termine nello sforzo di crearsi un lavoro, un’azienda, che generi profitto per sé e per gli altri. In altre parole, la genialità, lo spirito di iniziativa, la creatività degli italiani deve essere fatta passare dalla vecchia arte di arrangiarsi a una nuova capacità di costruire piccole, piccolissime imprese indipendenti. Queste potrebbero essere il nuovo terreno di coltura di uno sviluppo di lungo termine.

L’esempio invece di un’altra cosa molto meno ovvia viene dall’arsenale del suo vecchio rivale, Romano Prodi, e riguarda il porto di Taranto. Una decina di anni fa Prodi vide la possibilità di rilanciare il Paese a cominciare dalle infrastrutture, dai porti, e in particolare con Taranto, quell’attracco strategicamente situato a metà strada fra Suez e Gibilterra, come aveva già visto Napoleone due secoli fa.

La questione di Taranto per anni ha avuto alti e bassi ma oggi, grazie alla crisi della sponda nord del Mediterraneo e a quella della Grecia, il porto pugliese ha cominciato a ripartire. La società di Hong Kong Hutchison Wampoha ha confermato, se pur ancora tiepidamente, l’interesse per Taranto. Se il piano avesse successo Taranto potrebbe diventare un porto commerciale e un centro di trasformazione grande quanto Rotterdam, il terminale di una nuova via della seta, con treni per tutta l’Europa, cosa che a sua volta risolverebbe la questione meridionale e trasformerebbe l’Italia e e il continente.

Al di là delle formule parlamentari, se Berlusconi abbracciasse e desse attualità a quell’idea di Prodi, sarebbe un segnale vero di unità nazionale di intenti per fare ricominciare il Paese. Berlusconi, grandissimo intrattenitore, ha bisogno di un sogno da vendere e Taranto potrebbe essere l’idea giusta. Il sogno del porto di Taranto ha le sue radici nell’antichità greca, dalla storia degli elefanti del macedone Pirro passando per Napoleone e per il suo generale Laclos, morto proprio lavorando alle fortificazioni in città e autore di quel Les Liaisons dangereuses che ha stregato Hollywood e non solo in tanti rese cinematografiche.

 

A Taranto gli inglesi inventarono nel 1940 l’attacco aereo a sorpresa contro una flotta, che ispirò i giapponesi per Pearl Harbor un anno dopo. Sempre i giapponesi dalla fine degli anni 70 vennero a studiare quella colata continua che cambiò la storia dell’acciaio nel mondo. Se Berlusconi tornasse in politica unendosi in questo a Prodi, forse la storia d’Italia potrebbe davvero cambiare. Sarebbe un’unità nazionale autentica, sarebbe un’idea di sviluppo concreta, che non richiede sacrifici alla popolazione.

Inoltre 76 anni, l’età di Berlusconi oggi, potrebbe paradossalmente essere quella adatta. A 76 anni in Cina Deng Xiaoping lanciò la politica di riforme che rivoluzionò il Paese e che sta ancora trasformando il mondo. Prima di allora il percorso di Deng avrebbe potuto non essere straordinario. Dopo è cambiato tutto. Ora bisognerà vedere se Berlusconi saprà fare lo stesso.