Se la situazione sembrava confusa in Italia qualche settimana fa, guardatela adesso. Dalla distanza sembra che stampa e tv siano un coro. Tutti, sostenitori e oppositori, sono affascinati o tormentati dal ritorno dell’invincibile e immarcescibile cavaliere Silvio Berlusconi che strapazza e conquista avversari, amici e indecisi. I sapienti dicono che non potrà mai vincere: troppo lunga la lista dei nemici. Non lo vogliono i partner europei, l’America d’oltre Atlantico, la Chiesa, i poteri forti… dovrebbe essere una battaglia strapersa.

Eppure la sua capacità di comunicazione è straordinaria, e con contenuti azzerati, cioè tutti che stanno intorno sostanzialmente agli stessi programmi, aggiungere o togliere un tassa o un taglio amministrativo, l’Italia dà i numeri. Ogni cosa è oggi in mano ai sondaggi e ai sondaggisti, i quali in passato hanno spesso azzeccato le tendenze con grande precisione. Quindi, inutile girarci intorno, bisogna cominciare con quello che dicono loro.

Grillo, la grande incognita delle prossime elezioni, è al 13% rispetto al 18% di poche settimane fa. Berlusconi, che sembrava morto, sta recuperando e insieme al suo vecchio partner, la Lega Nord, raccoglie il 28-29%. Monti pure è in ascesa e potrebbe finire per avere il 20%, voti che sta sottraendo forse non a Berlusconi, ma alla sinistra di Bersani. Quest’ultima alla fine potrebbe scivolare sotto il 30% e smettere di essere il primo partito, ridando ancora una volta la guida del Paese a Berlusconi. Anche perché alla sua sinistra di certo Ingroia gli sta rosicchiando voti.

La concentrazione di ostilità contro il Cavaliere dovrebbe rendere impossibile questo evento. Il fatto è che solo qualche settimana fa Berlusconi sembrava non morto, ma sepolto. Eppure come Lazzaro, o come uno zombie, a seconda dei gusti, il cavaliere è uscito dalla tomba e oggi si aggira miracolo vivente, prova forse non solo della sua forza, ma della debolezza complessiva del Paese.

Uno scenario che appena un mese fa sembrava impossibile, ora comincia a esserlo meno. Perché? Sembra perché non si è appresa la lezione di Mao e Zhou Enlai negli anni Quaranta. Allora Mao spazzò via la sinistra estrema del suo partito, fedele a Mosca, e portò il Pc su una linea di destra aprendo il partito non solo ai comunisti più o meno ortodossi, ma a tutti quelli che in un modo o nell’altro erano contrari ai nazionalisti (Kmt) del generalissimo Chiang Kai-shek. Alla fine anche una porzione del Kmt girò le spalle a Chiang e preferì allearsi con Mao. Dietro c’era poi un’idea forte di rinascita spirituale e politica del Paese, di occidentalizzazione e rinnovamento, cosa che il vecchio Chiang aveva abbandonato abbracciando invece solo un bieco ritorno al passato confuciano.

Monti invece non ha raccolto ampi consensi da destra a sinistra e si è posizionato al centro, sperando di recuperare consensi da entrambi i lati con l’ipotesi poi futura, dopo il voto, di una grande alleanza. Ma questo scenario sarà poi possibile?

Infatti, le incertezze del voto aumentano con il passare delle ore. Il Pd ha commesso il suo solito peccato di autoreferenzialità: credere di aver vinto prima dell’inizio della partita, e quando il gioco comincia, ritrovarsi spompato. Con la legge elettorale che non ha voluto riformare pensando di giovarsene, e che ora gli si potrebbe rivoltare contro.

Grillo pare rimasto nel suo angolo estremo, preoccupato di mantenere una disciplina talebana tra i suoi e scettico nel reclutare gli indipendenti. Il combinato composto delle due scelte lo chiude in un angolo.

Berlusconi è sceso per ultimo con energia, superando in scatti di istrionismo Grillo stesso, cosa che alla fine piace a molti italiani, convinti che la vita e la politica siano follia, fantasia e conigli da tirar fuori dal cilindro. Alla fine potrebbe dare colpa di tutto a Tremonti, scaricato dalla Lega e da eleggere a grande vittima sacrificale del disastro italiano.

Gli astenuti, pur assottigliandosi con l’avvicinarsi della data e il riscaldarsi dell’agone, rimangono la maggioranza quasi assoluta. Questo e le scarse prospettive di una vittoria chiara di alcuno restituiscono un quadro di grande instabilità generale.

Il problema, se così stanno le cose, non sono le elezioni di febbraio ma quelle prossime di ottobre, a cui l’Italia potrebbe arrivare dopo lunghi mesi di tormento. Con in mezzo il punto interrogativo delle elezioni del prossimo presidente della Repubblica.

Napolitano, eletto a suo tempo anche con i voti di Berlusconi, sembra quasi sotto l’assedio del suo ex grande elettore. L’ex premier ha minacciato un impeachment del Presidente per averlo spinto fuori da palazzo Chigi con una specie di golpe orchestrato con i tedeschi. Da un punto di vista formale la minaccia è fumosa, ma come clava politica è pesante. Se Berlusconi tornasse ad avere una maggioranza relativa o anche solo una minoranza corposa potrebbe condizionare pesantemente la scelta del prossimo Presidente, il quale a sua volta potrebbe influire poi sul Governo di passaggio e sulle prossime elezioni.

Sono ipotesi macchinose, ma che si reggono sui numeri presi in questi giorni dalle pagine dei giornali. La confusione dei numeri pare poi rivelare sempre di più la confusione profonda del Paese. Al di là di ipotesi estreme di uscita dall’euro, mancano proposte politiche forti. Oltre alle alchimie sull’Imu e il cesellamento su questa o quella tassa, su questo o quel tagliettino all’amministrazione, non ci sono piani di sviluppo nuovi.

Pareva che l’ipotesi di concentrarsi sullo sviluppo del Paese a partire dei porti, ad esempio da Taranto, avesse un senso. Nessuno la raccoglie, nemmeno i tarantini e i pugliesi, e forse quindi non ha senso. Ma cosa altro si potrebbe fare per ridare slancio al Paese? In realtà questa dovrebbe essere la domanda a cui rispondere, senza la quale vince semplicemente il miglior comunicatore. Qui Berlusconi, piaccia o meno, è senza pari.