Oggi, pur con tanti problemi ancora sul tappeto, pur all’indomani di una manifestazione turbolenta che annuncia il tormento sociale per le prossime, annunciate riforme economiche del governo, la politica italiana è più serena.

Pur senza levare niente al premier Letta e al suo vice Alfano, il governo è restato in sella e ha sconfitto i tentativi di andare alle elezioni anticipate di Berlusconi da una parte e di Renzi dall’altra grazie a un intervento più sapiente. Il capo dello Stato Giorgio Napolitano è stato il grande tessitore e architetto della sopravvivenza del governo in Parlamento, dove sembrava già fosse in minoranza; ed è stato anche colui che, sempre per far sopravvivere il governo, si è opposto alle pressioni di alcuni magistrati paladini della linea durissima contro Berlusconi.

Il governo allora si appresta a durare almeno fino al 2015, per una serie di motivi, tra cui il semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea l’anno prossimo. Poi a dicembre la Corte costituzionale dovrebbe risolvere per via giudiziale l’annosa questione della riforma della legge elettorale.

Quest’ultima era la ragione di fondo per cui Napolitano si opponeva al voto subito. Con questa legge elettorale lo stallo attuale in Parlamento si sarebbe perpetuato perché molto probabilmente dalle urne non sarebbe comunque emersa una maggioranza chiara. Una nuova legge elettorale è invece la premessa per aspirare a nuovi e più stabili equilibri politici in Parlamento.

In tutto ciò Napolitano è emerso come la chiave di volta del sistema italiano, e forse di più. Oggi a tutti gli effetti è quell’Uomo Forte che avevamo visto arrivare ormai tre anni fa quando le elezioni di Napoli scelsero come sindaco De Magistris, il giudice che si era fatto Masaniello.

Infatti, ci sono una serie di elementi che hanno dato più peso al presidente: lo squagliamento dei partiti; l’indebolimento delle istituzioni per la debolezza della politica e l’attacco di alcuni magistrati, la progressiva delegittimazione della magistratura, proprio per la sua sovraesposizione a causa dell’iperattivismo di alcuni suoi rappresentanti; la mancanza di efficienza dell’amministrazione, che si riverbera come serie di costi aggiuntivi sulle imprese e l’economia in generale.

Tutto ciò ha oggettivamente dato peso alla presidenza della Repubblica, e Napolitano, che avrebbe potuto schivare o assumersi le crescenti responsabilità che gli arrivavano, ha scelto finora di supplire laddove altri non sanno che fare.

Ciò ha creato un ruolo di uomo forte sui generis, per la verità diverso da quello che avevamo paventato anni fa. Per fortuna, non è un uomo forte emerso da una rivoluzione o semi rivoluzione di piazza, come sembrava potesse accadere con de Magistris a Napoli o Grillo a livello nazionale. 

Dalla Cina, patria fino a 30 anni fa di oltre un secolo di rivoluzioni e guerre civili, appare chiaro che soluzioni ai tanti e complicati problemi che ci sono in Italia non posso essere trovate in facili scorciatoie populistiche e demagogiche. Quindi avere evitato una rivoluzione è certo un bene.

Napolitano è l’uomo forte “conservatore”. Potrebbe apparire quasi quello che similmente emerge in periodi turbolenti, quando un’istituzione potente, in genere l’esercito, assume il potere su ogni altro per fermare la rivoluzione appunto. In Cina ciò accadde di fatto negli anni Trenta del secolo scorso quando Chiang Kai-shek incarnò il ruolo restauratore contro i comunisti e i tanti altri gruppi rivoluzionari del paese.

Napolitano in ciò finora è stato un miracolo tutto italiano ed europeo (vista i suoi strettissimi collegamenti oltralpe) di capacità di fermare le rivoluzione ma anche di impedire una deriva autoritaria.

Detto questo, oggi è su Napolitano che ricadono le responsabilità più gravi per l’Italia, l’Europa e anche il mondo, dove una crisi italiana innescherebbe una crisi europea di conseguenze globali imprevedibili.

La manifestazione di sabato 19 a Roma dovrebbe rompere gli indugi oggi esistenti per riforme radicali. Fasce della società sono già prossime a un punto di rottura. Non imboccare quindi le dure riforme necessarie non previene la frattura ma ne allunga solo il tempo di soluzione. In cinese si dice: chang tong hai bu ru duan tong, nel dolore è meglio uno breve di uno lungo, che è un’ovvietà, in realtà spesso dimenticata nella pratica quotidiana.

È su Napolitano quindi che cade l’onere a questo punto di spronare riforme radicali che devono necessariamente essere ad ampio raggio, e non riguardare solo l’economia. Qui c’è una questione profonda, oltre che di efficienza, di etica. Le mancate riforme nel sistema statale salvano posti improduttivi nell’apparato pubblico, ma imponendo costi generali al sistema spingono alla chiusura di tante più efficienti imprese private e tolgono in tal modo posti di lavoro. Cioè per salvare posti di lavoro nel pubblico, spesso parassitari, si tolgono posti di lavoro nel privato, laddove si produce per tutta l’economia nazionale.

Quindi manca nel paese una chiarezza di visione e un impeto morale, spirituale che esisteva quando Napolitano era giovane e l’Italia usciva dalla seconda guerra mondiale. Cosa può fare il presidente per dare al paese una forza interiore che non ha? 

Di certo sembra paradossale che un quasi novantenne oggi debba dare energia giovanile a un paese che pare molto più vecchio di lui. D’altro canto questo prova anche quanto siano state superficiali e sciocche certe teorie giovanilistiche che danno a leader giovani una sproporzionata fiducia per il rinnovamento. Ma non si è bravi saltatori perché si mangia carne di canguro.

Invece la storia degli ultimi decenni prova che le grandi innovazioni sono partite da uomini anziani. Deng Xiaoping lanciò le riforme economiche a 74 anni, Reagan, che rilanciò l’economia americana e pose le basi per la fine della guerra fredda, arrivò alla presidenza solo poco più giovane, Papa Francesco sta scuotendola Chiesa con i suoi atletici 77 anni e un polmone solo. All’Italia tocca oggi un ottantenne per risollevarsi.