Enrico Letta e Angelino Alfano che sembravano fino a qualche giorno fa i classici vasi di coccio tra quelli di ferro dei grandi schieramenti politici in Italia, sono emersi vincitori dal più grande scontro politico di questa legislatura. Certo, dietro di loro c’era l’infaticabile presidente Napolitano, ma i due hanno sconfitto forze aperte e coperte che tiravano ad andare alle elezioni il prima possibile.

La prima, ovvia, era quella di Berlusconi che voleva uno showdown elettorale contro le condanne che gli si affollano sul capo. La seconda, più opaca, era quella di Renzi che voleva prendere in mano il partito il prima possibile, prima che il fascino fiorentino della sua propaganda evaporasse.

Così il primo sconfitto dello scontro è certamente Berlusconi. Ma, per motivi anagrafici e per l’enorme isolamento internazionale, Berlusconi anche vincitore avrebbe condizionato ma non dominato la politica. Con la sua ritirata conserva un po’ di forze e conta di continuare a condizionare la politica, in qualche modo.

Il secondo sconfitto però più clamoroso è Renzi, che vede allontanarsi la data delle elezioni e quindi la data della sua leadership del partito, se non dell’Italia. Inoltre, Letta ha dimostrato di essere un abile manovratore, e determinato a portare a casa i necessari risultati politici. Questo è molto più concreto e tangibile di un instancabile pellegrinaggio per l’Italia con alle spalle l’eredità di una città, Firenze, che si lamenta perché il sindaco, Renzi, non c’è mai e amministra male.

Così fra sei mesi-un anno di amministrazione Letta è molto probabile che Renzi smetta di esistere, e l’attuale premier diventi il candidato naturale del Partito democratico.

Il tutto sta in questi sei mesi un anno però, perché se le cose dovessero andare diversamente, Renzi si prende il partito e Letta ha fatto solo perdere sei mesi all’Italia in vista di elezioni comunque anticipate.

Ora infatti Letta e Alfano si sono scrollati di spalle il peso delle fronde dei loro partiti e possono e devono muoversi rapidamente sul terreno delle riforme scottanti e urgenti. Su questo, non ci sono misteri, si sa che occorre tagliare l’amministrazione pubblica, il suo peso, le sue pensioni, e alleggerire invece la burocrazia per facilitare le imprese, riducendo poi anche il costo del denaro e il peso fiscale, tutti enormi freni allo sviluppo.

Si tratta di una ricetta di lacrime e sangue, inutile girarci intorno, che può essere fatte trangugiare solo dando una grande speranza agli italiani. Queste speranze possono essere vaghe grida idealistiche (utili purché non se ne abusi) e qualche progetto di sviluppo chiaro. Uno di questi, mi perdonino l’insistenza i 25 lettori che mi seguono, è quello del porto di Taranto che aggancia l’Italia all’Asia e al resto dell’Europa.

Se Letta ha idee migliori naturalmente ben vengano, ma le deve produrre in fretta, perché la sua luna di miele con il paese tra un paio di mesi, o forse ancora prima, potrebbe finire.

Così Letta ha un paio di mesi per passare alla storia. Se presto varerà delle grandi riforme e darà speranza agli italiani sarà il salvatore della patria che ha saputo essere prudente e traccheggiare fin quando non è venuto il momento giusto.

Se lascerà correre e si farà prendere in ostaggio allora sarà stato solo una specie di rito di passaggio, da dimenticare, dando poi ragione a posteriori a Berlusconi che avrebbe voluto andare prima alle elezioni.

A 47 anni Letta dovrebbe pensare di essere ancora troppo giovane per andare nel cestino della storia, quindi per lui e per l’Italia, speriamo che si affretti a prendere le decisioni giuste.