Sondaggi, voci di palazzo, umori di piazza, tutti danno oggi il sindaco di Firenze Matteo Renzi vincitore di prossime, quantunque imprecisate, elezioni politiche.

Con Berlusconi pallido fantasma di se stesso e Grillo, che non riesce ad apparire governativo, Renzi è l’uomo che rappresenta il nuovo. È di sinistra abbastanza da avere il voto di sinistra, ma di centro abbastanza da attirare il voto di destra. Giovane, loquace, belloccio, pare la panacea dell’Italia. È come se la panacea-Renzi camminasse sulle acque, una cosa che finora è riuscita solo a Gesù. Renzi infatti è preso in un morsa in cui il tempo gli gioca contro, proprio mentre avrebbe bisogno di tempo.

Il sindaco ha infatti bisogno di prendersi il Partito democratico per non fare la fine di Romano Prodi, che vinse le elezioni per poi essere messo da parte dal partito che gli era contro. In questo i bisogni di Renzi sono anche maggiori di quelli di Prodi. Prodi era ed è un uomo di grande spessore, Renzi è invece più esile e quindi più a rischio di essere divorato dal drago del Pd, che ha già polverizzato suoi eponimi come Veltroni o Rutelli.

Ora deve aspettare le primarie generali, “esterne” del partito (dove votano i simpatizzanti), che dovrebbe vincere, ma intanto le primarie “interne” (degli iscritti, di apparato) le ha perse. Quindi il sindaco deve comunque venire a patti con l’apparato (pare che la maggior parte dei “federali” regionali siano leali a Bersani e non a lui), che lo detesta quando non lo odia visceralmente. Dall’apparato viene la minaccia che già azzoppò Renato Brunetta quando, allora ministro, si candidò a sindaco di Venezia. Quella sola candidatura costò a Brunetta una campagna stampa furibonda e il tradimento di una parte dei suoi.

Oggi Renzi, sindaco di Firenze, città importante come Venezia, si candida a posti ben più importanti di quelli di Brunetta, volendo diventare capo del maggiore partito d’Italia e presidente del Consiglio. Possibile quindi che tra i suoi nessuno lo carichi prima o poi lancia in resta come un Brunetta 2? Infine, se si dimette da sindaco rischia di rimanere fra due seggiole.

Quindi avrebbe bisogno di tempo per consolidare il suo controllo sul partito. Il tempo, però, gioca contro di lui. Renzi è fragile, senza grande spessore culturale, senza politiche profonde al di là dello slogan sulla rottamazione (in un paese dove la maggior parte dei votanti sono più vecchi di lui, siamo sicuri che giochi a favore?) il tempo potrebbe mostrare le sue debolezze e potrebbe passare semplicemente di moda, come è successo ad altri astri passeggeri, meteore della politica italiana.

Inoltre, per imporre una sua politica e una sua direzione di marcia dovrebbe eleggere un “suo” parlamento, quindi dovrebbe andare presto alle elezioni. Ma oggi i deputati del Pd sono per la maggior parte contro di lui. Sanno che non saranno in maggioranza rieletti e quindi manca ogni interesse a muoversi verso elezioni anticipate o a collaborare con un nemico diretto che li vuole rottamare. Anzi, hanno invece ogni interesse a logorare Renzi, provando al mondo che il sindaco fiorentino è solo un pallone gonfiato.

Per sfuggire a questa doppia contraddizione, Renzi dovrebbe dotarsi di politiche che gli diano lo spessore necessario a tollerare il tempo in cui gli altri proveranno a cuocerlo a fuoco lento. Ma politiche solide forse hanno bisogno di una ristrutturazione della squadra renziana, che sembra attrezzata più per avanzate leggere.

Qui c’è poi il problema non banale della riforma elettorale. Nei prossimi giorni la Corte costituzionale dovrebbe abolire in parte o in tutto l’attuale legge e quindi si dovrebbe andare alle urne con una legge vecchia, resuscitata, oppure con una nuova tutta da discutere e approvare. La nuova legislazione aiuterà Renzi o lo getterà nel difficile agone di dovere poi contrattare non solo con i suoi del Pd, ma anche con i vari spezzoni della frantumata politica italiana?

In apparenza la strategia contro il tempo di Renzi non è di dotarsi di grandi politiche che si mantengano nel tempo, ma di cavalcare polemiche quotidiane di scarso spessore: gli attacchi al ministro Cancellieri, le bordate contro il presidente Napolitano… tutte cose molto fastidiose, che tengono alta l’attenzione dei giornali.

Ma tutti sanno anche che sono tutte cose che lasciano il tempo che trovano, perché la Cancellieri o Napolitano sono gli ultimi dei problemi italiani, anzi, quando l’Italia avrebbe bisogno di forti idee di rilancio e gli investimenti stranieri in Italia già ci sono (vedi Fiumicino o Taranto) ma sono trattati a pezze in faccia.

Ciò detto l’Italia è così debole, e la scena politica così evanescente che Renzi potrebbe comunque durare. Chi lo conosce dice che ha carisma, e conservatori americani che lo hanno incontrato in California dicono che abbia tratti craxiani. Ma Craxi, con una vecchia legge elettorale, non riuscì mai a sfondare il 15% dei voti. Era un’altra Italia, era un altro mondo.

Al di là dei mille tatticismi l’Italia ha bisogno di politiche forti, prima ancora che di leader forti. Anzi la tattica può fallire, e il fallimento non inficiare il successo finale se la politica è solida. Intorno al 1860 il mandarino cinese Zeng Guofan affrontò e vinse la rivolta dei Taiping, che stava travolgendo l’impero cinese. Zeng era un pessimo tattico, infatti all’inizio perse le sue prime battaglie, ma era un ottimo stratega e organizzò una riforma militare e amministrativa che nel lungo termine cambiò l’esito della guerra civile.

Che Renzia sia o meno un bravo tattico va bene, ma per vincere e cambiare l’Italia deve essere uno Zeng Guofan. Riuscirà a esserlo?