Nella tragedia degli operai cinesi bruciati a Prato ci sono tanti aspetti. C’è la tragedia umana, i morti, c’è il ritorno dello schiavismo nella porta accanto, perpetrato da altri cinesi, questa volta ricchi o arricchiti, con la complicità aperta o silenziosa dei pratesi o degli italiani che facevano finta di vedere dall’altra parte, quasi come i bravi tedeschi durante la Shoah.

Forse, però, da così lontano, non c’è da puntare tanto il dito contro i colpevoli, nei vari ordini e gradi, cosa che già in Italia si sta facendo. Si tratta forse di vedere le cause profonde di questo schiavismo e del perché non finirà domani o dopodomani nonostante i sette morti.

La causa profonda è in una falsa coscienza. Qui occorre un breve giro panoramico.

Le amministrazioni centrali e periferiche non riescono a licenziare personale in eccesso e inefficiente, quindi questo fa aumentare il debito pubblico, il costo dei servizi, le tasse e il costo del denaro. Tutti fattori che incidono sulle imprese private, che producono davvero e creano quella ricchezza che serve poi ad alimentare anche la burocrazia.

Ma questi costi aggiuntivi sulle imprese private spingono molte di tali imprese a licenziare, chiudere o… delocalizzare la produzione nei paesi in via di sviluppo, in Asia, Africa o semplicemente nei loro avamposti sotto casa, come l’officina clandestina di Prato.

Il peso e il costo della burocrazia in eccesso non sono innocenti, sono colpevoli due volte, perché sprecano risorse e le sottraggono a settori più sani creando le condizioni che rendono possibili tragedie come quelle di Prato.

Ci vorrebbe una diversa politica del lavoro più flessibile, non per punire chi il lavoro ce l’ha, ma per creare opportunità per chi il lavoro non ce l’ha; ci vorrebbe una politica dell’immigrazione che cerchi di scegliere chi può venire in Italia, senza mascherarsi dietro una facciata di rigore che nasconde il lassismo dei fatti.

Tutto questo potrà avvenire rapidamente in Italia? No, semplicemente perché la maggioranza dei votanti sono beneficiati dal sistema, sono impiegati dello Stato o pensionati o figli e nipoti di pensionati. Gli immigrati che secondo alcune statistiche sono oltre il 20% della forza lavoro in Italia non votano, e gli imprenditori sono ugualmente una minoranza più o meno interessati a non farsi nemici nell’apparato statale.

Questa mancanza di cambiamento dello Stato però non cambia comunque le leggi dell’economia, che come quelle della natura sono crudeli. Se l’imprenditore non può sopravvivere in queste condizioni o chiude e licenzia, oppure salva il salvabile e si rivolge direttamente o indirettamente a chi produce a basso costo, tra cui è possibile ci siano anche degli schiavisti.

In teoria, bisognerebbe guardare negli occhi l’economia per quella che è e come funziona davvero per poi calmierarla e porvi dei limiti ragionevoli, così si pone un freno reale a fenomeni di schiavismo dentro e fuori l’Italia. Ma che non possono eccedere le condizioni reali, perché altrimenti salta il sistema o schiavismo e sfruttamento diventano rampanti. O torna il sogno utopico del comunismo, la cui soluzione è stata scambiare una società con sacche di schiavismo con una società in cui tutti, indistintamente, sono schiavi.

Lo schiavismo poi certo non è solo un fenomeno dei cinesi in Italia, c’è anche in Cina. Solo qualche anno fa scoppiò un enorme scandalo perché nella provincia settentrionale dello Shanxi contadini venivano letteralmente rapiti e costretti a lavorare come schiavi in fabbriche di mattoni. Pechino reagì con una campagna massiccia che liberò migliaia di schiavi, chiuse molti mattonifici, e lanciò riforme che hanno migliorato a ogni livello il trattamento dei lavoratori. Cosa che ha aumentato il costo del lavoro e ha spinto molte aziende cinesi e straniere a delocalizzare fuori dalla Cina.

Forse l’Italia avrebbe bisogno di questo. Una campagna esemplare che chiuda le tante fabbrichette clandestine che si sa ci sono, di cinesi e non. Allo stesso tempo ci vorrebbe una riforma del lavoro e della burocrazia.

Avverrà qualcosa? Difficile. Meglio farsi ubriacare dal moralismo vuoto con un filo forte di razzismo (“i cinesi sono bestie, trattano e si fanno trattare come bestie”) dimenticandosi che fino a ieri anche gli italiani avevano la stessa esperienza. Il dramma vero è che se l’Italia non cambia in fretta, fra 20 o 30 saranno gli italiani a ridiventare schiavi e schiavisti.