Come forse non lo erano mai state in passato, stavolta le elezioni del prossimo fine settimana in Italia avranno una valenza globale. Il parlamento che emergerà dal voto dovrà scegliere il prossimo presidente della Repubblica, il governo guidare il paese fuori dalle secche economiche attuali e quindi aiutare a rilanciare l’euro e l’idea di un’unione economica e politica nel vecchio continente. Viceversa, un fallimento parziale o totale in questo senso potrebbe fare crollare l’euro, accendendo una crisi economica globale, o semplicemente mettere la moneta unica continentale su una specie di corsia rallentata e l’unione politica su un binario morto.
Fatto sta che il dibattito politico su questi temi in Italia appare inesistente. Ci sono in genere due pareri che sono discussi con maggiore o minore veemenza. 1) Bisogna seguire le direttive di Bruxelles concordate e decise in sostanza tra Parigi e Berlino, il nuovo asse di dirigenza europea che ha ripreso a funzionare. 2) Bisogna uscire dall’euro.
Dato che l’opzione 2 è di fatto impossibile, rimane l’opzione 1, affidata poi alla maggiore o minore capacità di ottenere sconti o agevolazioni per l’Italia da Parigi e Berlino. Qui naturalmente Monti è nella posizione migliore per ottenere tali sconti, e dovrebbe essere favorito dal pubblico, ma non lo è, per tanti motivi, che vedremo. Ma prima di fermarci su questo punto, ciò che è ancora più importante è che l’Italia non partecipa attivamente al dibattito politico sui contenuti di cosa dovrebbe essere la politica europea complessiva, non solo riguardo all’Italia; non si discute su quale potrebbe essere il contributo particolare dell’Italia alla costruzione europea.
Ciò è bizzarro perché in realtà molti rischi e opportunità per l’Europa vengono dall’Italia. Se l’Egitto esploderà, come è possibile, nei prossimi mesi un flusso di milioni di profughi potrebbe inondare l’Europa a partire dall’Italia; se il Mediterraneo riprenderà il suo ruolo centrale di centro di scambi tra Europa del nord e Asia lo farà a partire dall’Italia. Roma dovrebbe attrezzarsi per queste evenienze, a partire dal suo sud, cosa che riporta su basi diverse e nuove la questione meridionale che ha tormentato la storia d’Italia, tanto che la forza attuale della Lega Nord nasce proprio da una scelta di rifiuto di tale questione.
L’assenza di questi grandi temi svuota nei fatti le scelte politiche dei prossimi governi, qualunque essi siano, a meno di un miracolo nella testa del prossimo presidente o primo ministro che rilanci i contenuti veri. Ma non lo è stato finora, è improbabile che lo sia in futuro. Da lontano, il perché dell’assenza di tali contenuti pare un mistero, ascrivibile solo alla stupidità; da vicino forse è diverso.
L’ultra tatticismo della politica italiana distrae da ogni scelta strategica, la mancanza di esperienza vera internazionale di molti politici fa il resto. Il sistema elettorale è anche colpevole, e colpevoli poi sono i partiti che non lo hanno voluto riformare. Inoltre, c’è una caccia minore all’ultimo voto, che si raccoglie su minime questioni di bottega, non su grandi temi, e un controllo ferreo della dirigenza dei partiti sui candidati, fra cui si preferiscono i fedeli ai capaci.
Infine c’è un pregiudizio geopolitico. La politica in Italia si è divisa per anni sul pregiudizio ideologico di destra o sinistra, anche giusto, ma che spesso è diventato una questione di appartenenza come in un derby Inter contro Milan. Le questioni di geopolitiche invece è come se non riguardassero il paese, che le vive come se fossero un’eredità scomoda del passato fascista e imperialista. Quindi la geopolitica non si tratta o si tratta in modo accademico, come se non dovesse riguardare l’Italia, come se qualunque posizione fosse indifferente. Ciò non è così in alcun paese, dove destra e sinistra si dividono sulla politica interna e sull’estero.
Il tutto ci porta alla cronaca del “chi vincerà?”. Inutile a questo punto lanciarsi in pronostici: le urne parleranno tra poche ore e da lì si comincerà a ragionare. Di fatto però tre elementi appaiono chiari a partire dai sondaggi.
Il grande vincitore politico sarà Grillo, che in pochi mesi, dal nulla, ha creato un partito che si aggirerà intorno al 20%. Lui conterà se non per i voti di sostegno al governo di certo nelle trattative per la scelta del presidente.
Altro elemento sarà la forte presenza di Berlusconi. Dato per morto pochi mesi fa, oggi è risorto e addirittura rischia di essere vicinissimo al vincitore. Ciò dimostra come in Italia non si possa fare politica senza di lui.
Terzo elemento è la tiepida esibizione elettorale di Monti. Potrebbe arrivare quarto nella competizione elettorale, e avere un posto di ministro del Tesoro: poco per l’uomo che ha salvato l’Italia dal baratro e fino a due mesi fa sembrava destinato al Quirinale. Monti non è riuscito a comunicare alla gente comune. Questione di stile, personalità, non ha il fascino spettacolare di Berlusconi o Grillo, ma anche di politica. La politica non è applicare una formula scelta a Bruxelles, deve essere uno slancio strategico per la gente. Davanti a una battaglia non si può dire ai soldati: il 10% di voi statisticamente deve morire per vincere la guerra. Si deve dare alla gente il motivo per cui magari anche tutti possono morire: salvare mogli e figli a casa, allargare i destini del proprio mondo, avere un posto in paradiso. La gente fa sacrifici, li vuole fare, ma gli deve essere dato un motivo convincente e forte, più grande della sua quotidianità. Monti non l’ha dato, e per la verità non l’ha dato alcun altro. Questo riporta al centro il vincitore in pectore della contesa, Bersani. Lui sceglierà il prossimo governo e forse anche il prossimo presidente. Le percentuali che otterrà diranno se lo farà da solo o, come oggi sembra probabile, dovrà accordarsi a destra e a manca.
Per fare questo si entra nel pantano degli scambi da sottobosco italiano. La politica è un’arte di mediazione, trovare soluzioni che accontentano i più evitando scontri violenti. Meglio quindi una politica sporca che una guerra pulita. Il punto è: è probabile che le elezioni non saranno risolutive. Che Bersani vinca, sì, ma di misura, e che quindi le tante divisioni del suo partito a sinistra lacerino la sua coalizione come è successo tante volte. Tanti pensano che per evitare questo ci vorranno nuove elezioni, dove sarà questione di numeri: una maggioranza più solida per il partito di governo.
Dalla Cina pare sia una questione di numeri, non di idee. Ma è questo, ancora una volta, il problema. Per mettere i conti in ordine, per imporre le grandi ristrutturazioni di cui ha bisogno il paese, non si può presentare alla gente che deve andare a soffrire il conto del ragioniere: occorre dare un’ispirazione, un senso profondo del proprio sacrificio. Altrimenti è solo un fuggi fuggi: chiunque cerca di evitare di essere schiacciato e tutti si lamentano per il nuovo clima. Cioè si deve pensare a che strategia avere verso l’Europa e il mondo, dove si vuole fare andare il paese.
Ora, Berlusconi promette una specie di Bengodi, e Grillo un redde rationem. Possono essere entrambe promesse eccessive e irragionevoli. Come si fa a credere a Berlusconi dopo il disastro che ha prodotto? Come si fa a credere a un comico che fa politica con battute di spirito? Ma il loro successo davanti alla tiepida performance in campagna elettorale di Bersani e Monti, ragionevoli ragionieri, dimostra che Berlusconi e Grillo danno almeno alla gente qualcosa di cui si sente il bisogno: un progetto. Se qualcuno allora avesse un progetto ragionevole, questi sbancherebbe.
La politica non è né può essere semplicemente più o meno flessibilità del lavoro, più o meno potere dello stato nel mercato; dovrebbe essere il progetto che ha l’Italia per il suo futuro in Europa e nel mondo. Questo al fondo è il progetto politico che gli elettori leggono in Berlusconi o Grillo: maggiore indipendenza dai dettami di Bruxelles. Può essere demagogico, ma meglio che la tacita accettazione della volontà, ragionevole quanto si voglia, degli altri.
La vera politica che farebbe vincere qualunque partito e costruirebbe uno spazio di dignità per l’Italia in Europa e nel mondo, sarebbe di presentare un’idea sul tipo di Europa che l’Italia vuole, visto che è il suo orizzonte politico primario. L’Europa non è un pacchetto preconfezionato semplicemente da prendere o lasciare, ma è un progetto in via di costruzione o di distruzione. In questo, l’eventualità prospettata da politici inglesi di lasciare la UE naturalmente può essere di quelle che scatenano poi la crisi dell’Unione e dell’euro. Questa politica non c’è stata ed è probabile che continuerà a non esserci. In assenza di questo, e assediata da politiche demagogiche o da ragionevoli soluzioni ragionieristiche, l’Italia ha davanti tre scenari, che saranno in gran parte determinati dai numeri che usciranno lunedì.
1) L’Italia traccheggia. Ragionevoli ragionieri impongono le misure più o meno necessarie. L’Italia esce dal guado ma non c’è politica, delegata a Parigi e Berlino. La protesta sociale aumenta, ma viene tenuta sotto controllo, perché la maggioranza dei partiti capisce di avere tutto da guadagnare ad andare avanti a sbarcare il lunario. Ma l’Italia perde l’anima, si asciuga, si secca, perché un paese, come una persona, ha bisogno di uno scopo per vivere.
2) L’Italia va bene. Uno o più partiti hanno un’alzata di ingegno e propongono davvero una politica nuova per l’Italia e per l’Europa, che è insieme ragionevole ma anche di slancio per il futuro. L’Italia è fuori dalla crisi e contribuisce positivamente al progetto europeo e a tutto quello che tale progetto significa per l’Europa.
3) L’Italia scoppia. I ragionieri provano a governare ma sono travolti dalle “irragionevoli” proteste della gente che non capisce perché dovrebbe sacrificarsi mentre altri (come in ogni crisi o guerra) fuggono o ingrassano. Grillo guida la protesta in parlamento, e aizza la folla nelle piazze. Il parlamento pavido si spacca, e poi cede: si va a nuove elezioni con il paese nel caos, gli interessi dei buoni del tesoro vanno alle stelle e il rischio di non riuscire a pagare gli interessi diviene concreto. L’Italia va così ad esercitare pressioni enormi sull’unità dell’euro, avvitando Europa e mondo in una nuova crisi finanziaria.
A occhio lo scenario 1 dovrebbe essere il più probabile, triste per l’Italia, indifferente in sostanza per il mondo. Ma le probabilità si conteranno davvero dopo il voto. Se Bersani vincesse di misura, se Berlusconi perdesse per un’incollatura, se Grillo sfondasse il 20% allora le possibilità della ipotesi 1 si assottiglierebbero e ci sarebbe bisogno dell’ipotesi 2, mentre si allargherebbe, drammaticamente, l’eventualità dell’ipotesi 3.