Viste le cose da lontano, i tempi sono stati praticamente gli stessi, ma i risultati sono poi diventati molto diversi. Infatti nell’ultimo mese si sono consumate due crisi a Roma, l’una al Vaticano, con le prime dimissioni da sette secoli di un papa, l’altra al governo dell’Italia dove ci sono state le elezioni politiche.



Viste da fuori la prima era una crisi straordinaria, storica, eppure il 13 marzo la Chiesa cattolica ha eletto il suo nuovo papa; la seconda era una crisi ordinaria, le elezioni politiche in Italia si fanno ogni quattro, cinque anni, ma ormai a un mese di distanza l’Italia è ancora senza un nuovo governo né si sa quando ci sarà.



Il problema evidentemente ruota intorno a Grillo e alla corruzione profonda del sistema politico italiano. I partiti tradizionali, il Pd di Bersani, il Pdl di Berlusconi e la formazione di Monti, paiono incapaci di pensare a un governo con Grillo all’opposizione.

Né sembrano capaci di affrontare il marcio che essi stessi generano. Dovrebbero annunciare riforme che dimezzino il numero dei parlamentari, taglino radicalmente i privilegi, rimettano in piedi le strutture dello Stato. Ma né sul primo né sul secondo fronte hanno fatto o annunciato passi concreti.

Grillo d’altra parte non aiuta. Mira a ottenere la maggioranza assoluta, e quindi spera di non essere coinvolto nel governo. Nella sua logica di interesse particolare del “tanto peggio tanto meglio” (che Mao avrebbe tradotto con “c’è grande caos sotto il cielo, la situazione è ottima”) un governo che lo escluda e che molto probabilmente non colpirà la casta politica, mantenendo questa legge elettorale profondamente iniqua, gli regalerà oltre il 50% dei seggi alle prossime votazioni. Quindi dal suo punto di vista non deve fare niente, solo rimanere alla finestra a guardare e non farsi coinvolgere.



Quello che dovrebbero fare gli altri per riprendere l’iniziativa politica e salvarsi sarebbe di annunciare riforme radicali contro se stessi. Non è certo che l’elettorato ci creda: perché dovrebbe credere a riforme dell’ultimo minuto fatte dagli stessi partiti che hanno portato il paese nel caos? Ma senza queste riforme di certo non c’è spazio.

Inoltre, se davvero le riforme fossero profonde, e condotte con spirito di grande equità, un governo di unità nazionale che escluda Grillo e proceda con certezza per cinque anni potrebbe lasciare Grillo al lumicino nel 2018. La storia recente d’Italia dice però che la casta è stata finora incapace di autoriformarsi.

Difficile che in un momento così complicato e agitato i vecchi politici riescano a tenere i nervi saldi, facendo oggi a un costo molto maggiore per se stessi quello avrebbero dovuto fare ieri. Più facile che prevalga la follia e il si salvi chi può. L’ultimo mese di vicende sembra fare propendere per questa seconda ipotesi.

Per ora nessuno vuole fare esplodere la situazione. I partiti tradizionali sperano in un compromesso dell’ultimo minuto mentre per Grillo elezioni dopo una crisi di qualche mese sono meglio che dopo una crisi di qualche settimana. Il tempo gioca a suo favore e lo sa, per questo vuole cucinare tutti a fuoco lento.

La strategia è chiara, gli altri partiti lo sanno, ma sono, come abbiamo visto, incapaci di reagire. Che c’è da fare? Probabilmente niente. Si deve aspettare fino ad agosto, quando con il calo delle transazioni in Borsa qualche pescecane internazionale speculerà a basso costo, sulla crisi italiana e forse anche sulla crisi dell’euro.

A quel punto Berlino, Parigi e Washington decideranno se mandare a fondo l’Italia oppure inventarsi forme forti di tutela, che toglieranno di fatto ogni indipendenza politica al paese.

Sul fronte interno in ogni caso Grillo sarebbe vincitore. Se gestisce il caos post-euro, potrà dire: ve lo avevo detto. Se gestisce il controllo limitato del paese, tanto meglio, perché non ha idea di come governare e potrebbe essere l’esecutore più o meno efficiente di piani altrui.

Cosa fare non è affatto semplice, ma la palla forse torna nel campo dell’uomo che a 85 anni ha dimostrato più coraggio politico di tutti gli altri messi insieme, il presidente Napolitano.

Qui ritornerei sull’analisi di poc’anzi. Il problema non è solo come governare oggi, ma come governare in tempi più lunghi. I partiti sono in trappola e Grillo ha un vantaggio strategico. Si vuole cercare di evitare che Grillo prenda la maggioranza assoluta? Allora gli si dia il potere, limitato, oggi. Qui vediamo se farà bene, se farà male oppure rifiuterà l’incarico. Tutto in chiarezza, alla luce del sole, come vuole lui. Ognuna di queste soluzioni è meglio che la vittoria elettorale travolgente futura o il protrarsi di una crisi che lascerebbe il paese stremato. L’attesa a questo punto è solo un danno. Sembra di vedere il classico esempio di un malato di cancro, molto spaventato. Dovrebbe operarsi in fretta, anche se l’operazione è rischiosa, ma preferisce far finta di niente, e attendere che il cancro sparisca per miracolo mentre invece andrà in metastasi.

Al fondo il problema è come riformare profondamente il paese. I partiti non lo hanno fatto, Grillo dice che lo farà. Se passeranno sei mesi e succederà poco e niente praticamente tutti, anche coloro che non si fidano della politica fatta con le battute e non con i ragionamenti, sceglieranno Grillo.

Vale la pena di notare che dare oggi l’incarico a Grillo non è come quando il vecchio Hindenburg diede il potere a Hitler: è il contrario. Può essere che la parte sana dello Stato si affidi a Grillo in un momento cruciale senza però dargli il potere assoluto. Se viceversa si aspetta, Grillo si prenderà tutto il potere fra sei mesi.

C’è da fidarsi di deputati auto candidatisi, scelti con mini cv su internet? Certo, sempre meglio di oscure macchinazioni in palazzi misteriosi. Ma dare loro in mano tutto lo Stato fra sei mesi, con Grillo che dirige tutto da dietro senza essersi mai sottoposto a un dibattito pubblico, senza sedersi in parlamento? Sarebbe meglio dargli il potere adesso per vedere come fa. Questa è anche l’unica possibilità di salvezza dei partiti tradizionali, che potrebbero sperare in un fallimento di Grillo per riprendere fiato.

Napolitano riuscirà a spingere su questa strada? I partiti confusi e spaventati riusciranno a prendere il coraggio a due mani e sottoporsi a questa operazione così rischiosa? La ragione, come sempre è pessimista, ma la scelta del nuovo papa a Roma dovrebbe essere ragione di ottimismo della speranza.