Quella che si apre questa settimana è la vera partita dei prossimi sette anni, cruciali come mai da almeno mezzo secolo, per i destini dell’Italia, a cui da lontano, stranieri, vogliamo tanto bene. Si tratta dell’elezione del presidente della Repubblica che dovrebbe portare il paese fuori da secche profonde almeno quanto quelle della Seconda guerra mondiale.



Dietro questa elezione con portati di lungo e lunghissimo termine c’è la partita tattica, ma con implicazioni anch’esse enormi, della scelta del premier. Questi dovrà formare il governo che attraverserà in un qualche modo, quasi magico, i prossimi cinque anni; oppure franerà in elezioni anticipate in appena qualche mese, come oggi parrebbe più probabile.



Le vicende sono due e separate ma molti, per tanti motivi, vorrebbero incrociarle e tali incroci non sono indifferenti.

Nei patti che si stringono in queste ore c’è anche la promessa di scambi concreti: presidente contro premier, impegni su continuità di certi poteri di politica, alta burocrazia, industria parastatale e indulgenza su inchieste scottanti, siano esse su minorenni di Casoria (che tocca Berlusconi) o sui misteri del Monte dei Paschi (che sfiora il Pd di Bersani).

Non tutte le clausole o i patti sono uguali, ma i contraenti cercheranno di stabilirne un prezzo equo intorno all’equilibrio alchemico della scelta del primo cittadino d’Italia. Prezzi e negoziazioni rimarranno segreti, ma chiari sono i vari contraenti, tre importanti e due minori.



I due minori sono Lega e gruppo Monti. Entrambi sono solo l’ombra di quello che erano o avrebbero voluto essere. I loro voti non sono cruciali ma possono indicare direzioni di come decideranno i primi due grandi partiti, Pd e Pdl.

I due forse avrebbero voglia fare tutto da soli, presidente e premier, ma è il terzo incomodo, il gruppo dei grillini, che con la sua sola presenza, cresciuta in pochi mesi da 0 al 25 per cento, lo rende difficile anche se non impossibile. Se in pochi mesi si tornasse alle urne, quella crescita promette che i grillini potrebbero ottenere la maggioranza assoluta in Parlamento, almeno con questa legge elettorale.

Pd e Pdl allora devono forse capire innanzitutto se coinvolgere o meno Grillo nella scelta del presidente. In teoria ne potrebbero fare a meno, ma questo aprirebbe immediatamente scenari spaventosi.

Pd e Pdl possono permettersi di scegliere un presidente contro quella che potrebbe essere la marea montante e la forza politica principale dopo le eventuali elezioni fra qualche mese? In teoria, se Pd e Pdl approvassero riforme rivoluzionarie la marea grillina potrebbe essere arrestata. O forse no, perché Grillo potrebbe dire che i partiti hanno agito sotto minaccia e gli elettori potrebbero credergli e premiarlo di nuovo.

La prudenza politica dovrebbe spingere Pd e Pdl a cercare un accordo con Grillo, ma questo accordo sarebbe conciliabile con i patti e gli scambi a cui i due partiti tengono intorno alla nomina del presidente? In teoria, anche questo potrebbe avvenire.

Inoltre Grillo, che vorrà prendersi tutto il potere alle prossime elezioni anticipate, dovrebbe avere un interesse a non trovarsi un presidente ostile che ha tanti mezzi per rendergli la vita difficile. Difficile, poi, che − in un’Italia così debole − Grillo possa governare senza il sostegno di americani ed europei.

Gli Stati Uniti, favorevoli alle rivoluzioni al gelsomino in Medio oriente, provatesi demenziali e portatori di caos, paiono oggi ugualmente a favore di Grillo, il quale al confronto è un mostro di saggezza e di stabilità. Gli europei sono più scettici su Grillo, ma se questi trovasse un accordo con Pd e Pdl su un nome solido, rassicurante, tutto potrebbe cambiare.

In teoria, vista da lontano, allora, la scelta del presidente dovrebbe potere essere presa con l’accordo di tutti, visto che tutti dovrebbero avere un interesse strategico a parteciparvi.

Ma potrebbe non essere così, perché da lontano invece non si vedono i tanti interessi tattici contrastanti. Primo fra tutti c’è la storia del governissimo, che molti vorrebbero vedere congiunto e non disgiunto dalla scelta del presidente. Poi c’è la profonda sfiducia di tutti contro tutti. Berlusconi, Bersani, Grillo non si fidano l’uno dell’altro e quindi come fanno a fidarsi dei patti presi?

Quindi ci sono le scelte profonde. Bersani e Berlusconi quanto vogliono cambiare davvero mentre da un mese giocano alla costante partita delle nomine, mentre i grillini, come abbiamo già scritto su questo giornale, hanno cominciato a fare proposte politiche concrete al di là di ogni nome?

Queste ragioni concrete, banali potrebbero spingere Pd e Pdl a non condividere le loro scelte con i grillini, e il presidente eletto, chiunque esso sia, potrebbe dividere e non unire il paese, che sempre più è stufo della vecchia politica e delle vecchie manfrine. A meno che tutti non ritrovino un senso di alta responsabilità, cosa che finora però non c’è stata.