Il Pd ha fallito la sua prima importante mossa, formare un governo guidato dal vincitore delle elezioni (a stento e solo su numeri risicati), Bersani. Il Pdl sembra altrettanto perso, incerto tra chiedere elezioni anticipate e difendere a spada tratta il suo leader, ma anche coinvolto nell’elezione del capo dello Stato.

Grillo invece ha cominciato a governare l’Italia. Lo ha fatto entrando a gamba tesa sul tentativo di Bersani, dando una prima luce verde al governo di Monti ancora in carica. Ha poi chiesto la centralità del parlamento rispetto a quello del governo. Ha spiegato che le commissioni parlamentari devono venire prima del primo ministro.

Ma soprattutto, i grillini hanno chiesto subito, concretamente, un taglio dei costi del parlamento di 42 milioni di euro. E per rimarcare il punto hanno mandato una ragazza di 26 anni, neo questore grillino, Laura Castelli, a dichiarare che apriranno i conti del parlamento come una scatola di pelati per metterli in una bolla di vetro. Intanto hanno già sbugiardato il neo presidente della Camera, la Boldrini, dicendo che si è ridotta lo stipendio solo del 6,9% mentre aveva annunciato un taglio del suo stipendio del 30%. Così l’hanno già messa in mora e hanno spiegato che saranno loro a guidare la danza.

Grillo così ha mostrato il vecchio adagio della politica, che governa nei fatti chi prende l’iniziativa politica, e che nelle battaglie politiche (o altro) spesso vince non chi è più forte ma chi ha meno paura di perdere.

Mentre gli altri parlamentari sono infatti preoccupati di accontentare in qualche modo l’ira popolare contro i privilegi della casta politica cercando comunque di salvare poltrona, stipendio e privilegio da deputato o senatore, i grillini sono diversi. Si sono subito tagliati le prebende senza aspettare nessuno. È demagogia, dicono gli avversari, questi non sono i veri problemi del paese. E se anche così fosse, perché gli altri non fanno lo stesso? Tali tagli non hanno controindicazioni, anzi.

La forza di queste iniziative prende vigore specie contro la debolezza degli altri. Così, con o senza il primo ministro, Grillo prova che sarà lui a dettare l’agenda del prossimo governo, e il premier, chiunque sia, dovrà decidere se cercare di mandare avanti il paese seguendo il suo spartito o combattendolo.

Sono questi elementi concreti che rendono oggi più che mai pratica la soluzione che, immodestamente, abbiamo avanzato per primi sulle pagine di questo giornale a caldo, subito dopo le elezioni con una lettera aperta al presidente Napolitano, in cui chiedevamo di affidare l’incarico di formare il governo a Grillo.

Detto questo, se Grillo oggi è effettivamente serio nella sua ambizione di governare non può pensare di farlo senza nessuno. Il suo 25% di consensi, pur sostenuto in teoria da un 25% di astenuti alle elezioni, non può governare contro il 75% dei voti in parlamento. C’è una differenza profonda tra compromesso politico (che media verso l’alto, in una visione strategica) e inciucio (che media verso il basso, con piccoli tatticismi), certo. Ma bisogna anche pensare che il compromesso è la virtù della democrazia, la quale decide di risolvere i conflitti mediando intorno a un tavolo invece che battagliando per le strada fucili alla mano.

Qui Grillo ha in effetti moltissimo da mediare. In democrazia un leader non può esimersi dal presentare un ragionamento o dall’aprire un dibattito concreto, invece di distribuire battute che nessuno sa se prendere per scherzo o sul serio. Questo fa il paio con alcune proposte di Grillo che rimangono, francamente, insensate, come quella di dare una specie di sussidio per la cittadinanza, uno stipendio minimo a ogni cittadino italiano. Ciò non ha senso economico, non solo: è profondamente ingiusto. Relegherebbe in un ghetto più profondo gli oltre due milioni di immigrati che lavorano in Italia e contribuiscono al benessere del paese col proprio lavoro e pagando tasse per servizi che andrebbero a finanziare chi magari non lavora ma è nato sotto la stella fortunata ed è italiano.

Ma anche contro queste marchiane debolezze di Grillo nessuno dei suoi oppositori riesce ad aprire un varco, segno profondo che non sono interessati a vere questioni politiche profonde, ma solo alla gestione del potere.

Ciò ridà tutte le carte a Grillo, il quale per fortuna del paese sembra avere trovato una buona intesa con il presidente Napolitano. Questo forse dà un segnale di quale potrebbe essere concretamente una via d’uscita, proprio alla luce del primo appuntamento cruciale, l’elezione del presidente. Il nuovo capo dello Stato non può essere eletto contro i grillini, altrimenti rischierebbe un impeachment dopo le prossime elezioni, dove Grillo potrebbe avere la maggioranza. O meglio, eleggere il capo dello Stato contro i grillini rischierebbe di spaccare lo Stato.

Né si può eleggere qualcuno però troppo candidato di Grillo, perché il resto del paese insorgerebbe. Di fatto questo ci riporta a Napolitano: servono almeno un paio d’anni per traghettare il paese nel futuro e l’unico traghettatore, forte per il passato ma anche con visione interna e peso internazionale, è Napolitano.

È comprensibile che il presidente, nato nel giugno del 1925, non voglia essere eletto, ma vorremmo, umilmente, offrirgli un altro punto di vista, anche questa volta dalla Cina. Nel 1989, a 85 anni, Deng Xiaoping decise di riprendere pienamente in mano la situazione politica del paese e reprimere il movimento studentesco di Tiananmen. Giusta o sbagliata che fosse, la scelta fu accompagnata poi da un paio di formidabili ulteriori strappi nel 1992. A gennaio rilanciò le riforme economiche andando nel sud in uno storico viaggio simbolico alle origini del processo di apertura. In autunno, poi, al 14° congresso del partito eliminò il gruppo politico di Yang Shangkun che stava prendendo il controllo del paese e promosse come futuro leader Hu Jintao, il quale sarebbe stato nominato presidente solo dieci anni dopo. Queste scelte profonde, fatte tra gli 85 e gli 89 anni, hanno marcato un ventennio cinese.

Certo, l’Italia è profondamente diversa dalla Cina. Inoltre Napolitano ha quasi 88 anni e non ha l’ambizione o la brama di potere di Deng. Ma è la storia che fa gli uomini, prima che gli uomini facciano la storia. In questo momento allora serve che Napolitano serva come presidente per ancora qualche anno, per traghettare il paese, con o senza Grillo.

Non ci sono in realtà alternative, se non tutte molto rischiose. Il tentativo del governo Monti è stata una lezione profonda. Monti avrebbe dovuto traghettare il paese, ma non ha funzionato. Qualunque altra scelta che non sia Napolitano allora potrebbe fallire allo stesso modo di Monti, e il paese non può permettersi una specie di Monti 2, in più come presidente della repubblica.

Per questo, umilmente, da tanto lontano vorrei dirLe, caro Presidente, per favore resti, per l’Italia e quello che il paese conta per il mondo.