Da settimane, se non da mesi ormai, infuria una strana battaglia intorno al Corriere della Sera. I contorni dello scontro sono confusi, ma in questa fase estremamente delicata forse essa rappresenta un momento topico dell’Italia. Il Corriere della Sera non è il quotidiano più venduto del paese, ma è quello che, al centro del dibattito politico, influenza quel 5, 10% di voto che può dare la vittoria a destra o a sinistra dello schieramento.
È il giornale che ha inventato l’esperimento alla fine sfortunato di Monti capo del governo ed è il giornale che attraverso le analisi puntute di Stella e Rizzo ha di fatto creato, dato corpo, ossa e carne, a Beppe Grillo, la più grande sfida antisistema italiana dai tempi dei giudici di Mani Pulite venti anni fa. Le mani sul Corriere allora sono le mani sull’Italia, specie in un momento in cui la nazione appare appesa a un filo.
Il governo di Enrico Letta viaggia in un coraggioso o disperato percorso di equilibrismo, in una guerra non sopita tra falsi alleati di destra e sinistra. Intanto il rivoluzionario Grillo incombe, Berlusconi minaccia di tornare e il Pd pare un ghiacciolo esposto al sole di ferragosto.
Questo contesto sottolinea l’importanza di ciò che avviene in via Solferino. I fatti emersi finora però non aiutano. Si sa che il 30 di questo mese il patto di sindacato che governa il giornale dovrebbe votare un aumento di capitale per ripianare i tanti debiti della passata gestione. Qui ci sono due versioni che riferirei, scusandomi per l’eccessiva semplificazione.
Da una parte ci sono le banche e la Fiat che dicono: i piccoli vogliono portare i libri in tribunale perché così, grazie a una nuova legge, non pagano gran parte del debito contratto e poi si comprano il Corriere con una manciata di spiccioli. I piccoli, guidati da Diego Della Valle, dicono: le banche con l’aumento di capitale si ripagano del debito, diluiscono o eliminano i piccoli azionisti, aumentano il credito verso Rcs e prendono il controllo del Corriere. La Fiat corona l’operazione infilando in Rcs il suo quotidiano decotto, La Stampa, aumenta il suo peso sul Corriere e si alleggerisce di un peso, La Stampa appunto, che non sa come gestire.
Le due versioni potrebbero essere entrambe sbagliate, sicuramente estremizzano le posizioni sul campo, e ce ne scusiamo profondamente con le parti, ma qui forse servono a capire a grandi linee, per chi è lontanissimo, cosa sta accadendo e forse possono essere anche utili a chi, lettore, vede e capisce poco, o anche ai protagonisti dello scontro, per avere con chiarezza l’orizzonte della situazione vista dall’esterno. Se la cosa fosse solo questo sarebbe uno scontro di interessi che un qualche bravo notaio alchimista potrebbe tentare di ricucire, distribuendo con saggezza le centinaia di milioni di euro di perdita o guadagno che ballano se vince l’uno o l’altro campo.
Ma il fatto che ciò non sia finora accaduto, com’era invece successo tante volte nel passato, dipende forse anche da altri elementi. Uno più di ogni altro rimane un punto interrogativo: cosa farà il Corriere se vince l’un campo o l’altro?
Questa è una domanda che riguarda la politica editoriale del giornale. Qui, dalla distanza almeno, non si capiscono affatto le differenze drammatiche di posizioni. I capi delle due cordate, Giovanni Bazoli per le banche e Della Valle per i piccoli, sembrano entrambi concordi nel sostenere una linea fermamente anti berlusconiana. Ci sono differenze di temperamento e di scelte industriali, le banche sembrano più istituzionali, i piccoli più sanguigni.
Potrebbero essere semplici impressioni, certo, ma la difficoltà a trovare un accordo che soddisfi entrambi, la mancanza di un punto di intesa alto per il futuro industriale e politico del gruppo e del giornale sembra un riflesso della crisi quasi parallela sta attraversando il Partito democratico. Cioè di fronte al doppio attacco di Grillo, che pare la linea sinistra di Vendola, e della resurrezione di Berlusconi, come il Pd si sfarina e Monti è evaporato, così il corpo industriale del centro e della sinistra nel Corriere si spacca e si autodistrugge.
Chiunque vinca all’assemblea degli azionisti, che si faccia o meno l’aumento di capitale, la mancanza di sintesi tra le due anime del Corriere sembra la pietra tombale su quello che era stato il tentativo del Pd e di Monti di vincere sulle forze profonde che sostengono e spingono Grillo o Berlusconi.
Quindi, al di là delle alchimie notarili, pare esserci una debolezza propositiva e intellettuale, dove si sente il peso dell’autoreferenzialità, la convinzione di essere i padroni dell’Italia quando il paese si sta spostando ormai da un’altra parte. Se nei prossimi pochi giorni le forze che si combattono a via Solferino troveranno o meno la delicata e difficile quadratura del cerchio a livello alto, questo sarà un messaggio profondo dall’Italia sulla possibilità o difficoltà a governare.
Se infatti nei prossimi mesi Berlusconi o Grillo si sentiranno abbastanza forti da vincere le elezioni, spingeranno il governo a cadere e ricomincerà la giostra dell’instabilità politica, madre di ogni instabilità economica. Il primo passo verso queste elezioni future e prossime potrebbe arrivare da Milano. In qualche modo se il patto che governa il Corriere si spaccherà effettivamente, allora anche le elezioni saranno più vicine.