Sono bastate poche ore perché la base ideale per la formazione del presente governo, la grande intesa per salvare l’Italia al di là delle mille differenze sul terreno, franasse, o così almeno è apparso da lontano. La questione è stata quella della presidenza della grande commissione per le riforme che Silvio Berlusconi, con il suo Pdl, voleva (e ancora vuole?) per sé, dopo che tutte le altre cariche sono state distribuite all’alleato di governo, il Pd.

In effetti, se il presidente della Repubblica, i presidenti delle due camere e il presidente del Consiglio sono andati tutti al Pd, perché almeno la presidenza della commissione per le riforme non deve andare al Pdl e al suo capo Berlusconi?

Avrà ragione Ezio Mauro che spiegava il 30 aprile su Repubblica: “Il punto in discussione è il tentativo ormai evidente, sistematico, insistito e molto diffuso di vendere un’alleanza di emergenza come uno stato d’animo del Paese, trasformando un governo di necessità in un’opportunità culturale per rimodellare la vicenda storica di questi anni. L’operazione cambia le carte in tavola, e assume un unico punto di vista – quello della destra, con le sue convenienze – come fondamento oggettivo della nuova fase. È evidente a tutti che Berlusconi, giunto terzo alle elezioni, arriva al tavolo delle grandi intese per scelta, con un’opinione pubblica che si sente premiata, una classe dirigente che appare miracolata”.

Eppure da lontano, e quindi lontano dai mille dettagli importanti della politica italiana, il governo attuale appare questo: una grande alleanza di tutte le forze della seconda repubblica, contro ed escludendo la forza che rappresenta il nuovo, Grillo. Ciò fatto con un presidente della Repubblica e un presidente del Consiglio che hanno più volte teso la mano a Grillo. Questi è rimasto fuori dal governo per sua scelta, certo, ma anche senza alcune commissioni di controllo che avrebbe potuto avere.

In questo governo di emergenza istituzionale, come in ogni caso ci sono tanti tatticismi, trasparenti nella compagine di governo con 20 ministri e 40 tra sottosegretari o vice ministri, la pletora delle cariche e l’abbondanza di vice ministri, calcolati certo per soddisfare piccoli ego e grandi interessi di casta, possono essere piccoli prezzi per evitare il collasso istituzionale dopo il tracollo finanziario. Ma sono sullo stesso binario della richiesta di Berlusconi per la sua presidenza. In effetti però in questa grande coalizione ci sono due sogni, un po’ come quelli che unirono la resistenza nel 1943 e divisero il parlamento nel 1948. C’è chi pensa che questo governo ha come suo fine supremo superare l’emergenza (dopo il passato si seppellisce) e c’è chi pensa che appena finita l’emergenza il passato (cioè la dannazione di Berlusconi) vada compiuto. L’emergenza sono la stretta finanziaria e l’assalto al vecchio di Grillo.

Il successo di questo programma però passa per la stretta collaborazione delle parti attuali, e quindi per la soluzione, temporanea o definitiva delle vecchie polemiche. Questi patti sono estremamente rischiosi. Chiang Kai-shek perse la Cina perché nel 1937 si fece costringere ad allearsi ai comunisti contro i giapponesi. Se avesse dato ascolto a se stesso, e avesse eliminato i comunisti prima di battersi contro i giapponesi, la Cina sarebbe oggi stata sua e il mondo sarebbe stato molto diverso.

Allo stesso modo oggi in Italia la sinistra che si riconosce in Mauro probabilmente conosce il rischio che affronta. Se il Pdl vara riforme che risolvano più o meno definitivamente la questione di Berlusconi e la sua battaglia con la magistratura, la faccia del paese fra qualche anno sarà molto diversa con i berlusconiani al potere in modo definitivo. La rivoluzione di Grillo, infatti, finora non ha dato prova di essere capace di governo. I suoi candidati alla presidenza erano tutti di sinistra, facendola sembrare l’ala estremista di Vendola. L’astuzia vera sarebbe stata candidare un uomo di destra pulito, magari un economista come Paolo Savona, per accreditarsi come vera forza di governo.

Il problema di fondo su cui traballa il governo Letta pare il seguente. L’Europa e tedeschi si pongono una questione legittima, credo: l’Italia ha 2mila miliardi di debito pubblico, ma 7-8mila miliardi di ricchezza privata, grosso modo quanto la Germania, che ha un’economia doppia rispetto a quella italiana. Non si può chiedere ai tedeschi di pagare un conto su cui gli italiani lucreranno in molti modi. Invece, far pagare questo conto all’Italia significa setacciare enormi capitali tra chi li ha nascosti e questo significa cambiare il potere in Italia. Gli unici che sembrano volerlo fare (sul serio?) sono i grillini.

In realtà (lo dico io che da giovane sono stato guardia rossa) il sistema di potere dovrebbe riunirsi e dire: facciamo qualche sacrificio tra di noi per continuare a mantenere la situazione quella che è. Questo grande patto sarebbe iniquo, ma probabilmente lo sarebbe meno di una rivoluzione, che spesso oltre che iniqua è anche molto sanguinosa e brutale. Ma il sistema di potere in Italia non riesce a farlo perché è profondamente diviso tra “vecchio” denaro (i grandi gruppi industriali o finanziari), più o meno intorno al centrosinistra, e “nuovo” denaro (quello emerso dopo gli anni 80) più o meno intorno al centrodestra.

Oltre a questo c’è l’assedio della cronaca. Se la sinistra accetta una soluzione del problema Berlusconi essa perde la sua maggiore bandiera, visto che è stata l’opposizione al cavaliere a coagularla. Inoltre, se oggi si andasse al voto Berlusconi potrebbe rivincere e la sinistra potrebbe essere spazzata via, mentre Grillo potrebbe non avanzare, secondo i volatili sondaggi attuali. Contro questa tentazione c’è la possibilità che Napolitano si dimetta e la sinistra faccia un suo presidente di guerra, così che anche una vittoria elettorale del cavaliere si scontrerebbe con la roccia della prima carica del paese; cosa che però potrebbe avvitare l’Italia nella rovina.

Contro queste prospettive occorrerebbe, in realtà come fece Chiang con i comunisti, accettare anche il rischio di essere decimati, pur di salvare la patria. Ma qualcuno in Italia è disposto a mettere da parte i suoi interessi di parte per quelli più alti? La sinistra teme l’estinzione, al di là della forza ideale di Ezio Mauro. Ma un giornale non è un partito. Berlusconi invece sembra ignorare che non potrà mai più governare, e ciò ormai non dipende dai risultati elettorali. Contro di lui ci sono fortissimi veti in America e in Europa, né la Chiesa di Papa Francesco, con il cardinale Bagnasco ora molto attivo, sembra disposta alle coperture del passato. Se Berlusconi tornasse al potere tutto gli crollerebbe intorno, a cominciare dai suoi affari privati. Ma il paradosso è che se si mette da parte, anche i suoi affari privati, a cominciare dal prezzo delle sue azioni, tracolla e quindi deve tentare di ambire al potere.

Queste due tensioni opposte, in cui entrambi Pd e Pdl rischiano la morte, spingono a tenere alto il livello della polemica e della tensione. Il problema è: questa tensione rimarrà a livello controllabile o la pentola scoppierà tra pressioni interne ed esterne?

Come sempre la ragione ha tutti i motivi del pessimismo, il cuore invece, ingenuo, tifa, spera altro.