Per usare una vecchia distinzione occidentale, ci sono questioni di forma e di sostanza che assillano il governo italiano oggi. Tali differenze non hanno mai attecchito nel pensiero cinese che sa che tutto è uno, ma per comodità di analisi forse oggi vale la pena pensare all’Italia secondo queste linee.

Il governo Letta non sta certo facendo male. Ha messo in cantiere la tanto attesa riforma elettorale, sta cercando di negoziare con Berlino termini diversi per la sua politica economica. Ma fuori e dentro la compagine di governo è tempesta.

Da un lato c’è la guerra parlamentare in cui il Pd, che ha espresso il presidente del Consiglio, oggi è dilaniato e sembra scalpitare a volerlo quasi fare cadere. Renzi appare nervoso, la sinistra del partito sente l’attrazione di Vendola, i più sembrano persi. In qualche modo il successo di Letta a capo di una grande alleanza con Berlusconi appare svuotare di senso il partito che ha fatto dell’anti berlusconismo la sua bandiera e quasi la sua forza identitaria.

Berlusconi con il suo Pdl, infatti, è felice, con gran cruccio del Pd. Vede i suoi consensi crescere nei sondaggi, l’opposizione a lui si sta disintegrando e a meno di colpi di coda giudiziari lui vuole veleggiare verso una data conveniente, tra uno-due anni, in cui torna alle elezioni e vince su tutti.

In realtà l’appuntamento per Pd e Pdl è l’autunno, le elezioni tedesche. Allora il risultato in Germania imporrà una nuova linea sull’euro e l’Europa oppure confermerà l’attuale, cosa che avrà ricadute su tutto il continente ma in particolare in Italia, grande anello debole della moneta unica. In qualche modo il voto in Germania deciderà se a Roma si tornerà subito a votare.

Intanto l’Italia non si ferma allo scontro tra Pd e Pdl. Il centro si è liquefatto, sparendo dal dibattito politico. Grillo pare in via di estinzione, dopo il pessimo risultato alle amministrative. Inoltre i grillini si sono dimostrati incapaci, non articolati, disorganizzati, pronti a litigare per lo scontrino fiscale o per la disciplina del partito. Ma questa disintegrazione di Grillo non ha significato un aumento dei consensi verso i partiti tradizionali. Alle amministrative c’è stato un aumento delle astensioni che hanno toccato quasi il 50%, un tasso in realtà senza confronti nelle democrazie occidentali.

È vero che il America il tasso dei votanti è simile, ma in America il voto è quasi un privilegio. Si va alle urne prendendosi spesso un giorno di ferie dal lavoro, registrandosi prima in complicate procedure. In Italia invece si vota in un giorno di festa con schede che vengono recapitate a casa. 

In queste condizioni una astensione così massiccia in Italia vale molto di più di quella americana. Tale tasso di astensione, quindi, significa che il governo Letta in realtà non ha avuto alcun impatto nella sfiducia profonda degli italiani per il loro sistema politico. Una volta persa la fiducia in Grillo, gli italiani non hanno più avuto fiducia in alcuno.

Questa è la radice profonda del malessere italiano: un distacco sostanziale tra la popolazione e i suoi dirigenti. Questo vuoto può restare e aumentare, dando luogo ad una specie di dittatura di una minoranza sulla maggioranza degli italiani, fatta dall’inevitabile opposizione e dalla larghissima astensione; oppure tale vuoto viene occupato da una nuova forza dirompente, come è stato Grillo, ma con più efficacia e precisione di Grillo stesso. Questa forza potrebbe poi essere nell’alveo tradizionale o diventare rivoluzionaria.

Ciò è la sfida più grande e vera del governo Letta. Senza affrontare questa sfida, per quanto bene possa fare, resterà solo un governo di transizione, come quei tanti che si succedettero durante la prima Repubblica e presero il nome di “governi balneari”; un governo tanto per passare l’estate e in questo caso arrivare alle elezioni tedesche di autunno.

Per colmare questo vuoto Letta ha bisogno di fare quello che non ha fatto Monti, quello su cui Grillo ha apparso tradire: dare una speranza, un progetto agli italiani e al mondo che guarda l’Italia. Che Italia vuole Letta? Come si può farla ripartire insieme all’Europa? Questo non può essere semplicemente nel dare ricette di gestione economica, né di trattativa più o meno efficiente con l’Europa minacciando di uscirne.

Un paio di anni fa proponemmo qui di fare ripartire l’Italia a cominciare da Taranto. Oggi più che mai pensiamo che questo sia e possa essere il progetto a un tempo vero e ideale per dare un senso alla Penisola, che appare appesa come un’appendice infiammata al corpo semi-sano del resto dell’Europa.

In due anni non abbiamo visto altre proposte concrete e ideali per il paese.

Caro Presidente del Consiglio, far partire subito i lavori per il porto di Taranto, far partire subito i progetti di una nuova area industriale per la lavorazione delle merci, rassicurare gli investitori stranieri in città, attirarne di nuovi, consolidare il rapporto voluto con il porto di Rotterdam: tutto questo sarebbe l’inizio della via del cambiamento dell’Italia e dell’intera Europa.

Taranto cambierebbe infatti la questione meridionale, l’Italia e i rapporti di forza nel continente riportando la penisola al centro degli scambi del Mediterraneo, tra Europa e Asia. Ciò darebbe speranza al paese, una visione, e riporterebbe la gente a votare e votare per Lei, caro Presidente del Consiglio.

Ci sono altre visioni? In due anni, dacché l’abbiamo proposta, non ne vediamo di altre. Abbracci Taranto, Presidente Letta, e il suo non sarà un governo balneare. Senza, ci potrà anche essere un Letta 2, ma sarà solo un traghettamento, non salverà l’Italia o l’Europa.