C’è stata qualche riforma radicale dell’economia, dell’industria o dello Stato italiano dal momento in cui Enrico Letta ha assunto il posto di capo del governo? A vedere l’Italia dalla Cina sembra di no, né sembra che intorno a Letta si sia montata una campagna di speranze, attese e buoni propositi come era accaduto con il governo Monti, poi miseramente fallito. Letta sembra appeso alla provvisorietà del suo governo, un alambicco tenuto insieme dai mille timori incrociati di andare ad elezioni dove vinca il nemico, dell’odio montante dei votanti che hanno disertato le urne, o delle mille conseguenze imprevedibili che possono derivare da ogni nuovo sviluppo delle vicende giudiziarie di Berlusconi.

Enrico Letta ha tutti i tratti della provvisorietà e della prudenza connessa a questo stato, e forse proprio per questo potrebbe alla fine avere una durata più lunga di quella di chi proclama cambiamenti profondi. Ciò però sarebbe vero solo se l’economia andasse bene, e se i problemi italiani derivassero solo dall’endemica e storica litigiosità dei partiti politici e della separazione verticale tra pro e anti Berlusconi. Ma non è così: i problemi italiani derivano da una crisi economica profondissima, con una una riduzione del Pil spaventoso, uno stato inefficiente, una mancanza di prospettiva di sviluppo e una crisi ideale e spirituale forse senza pari dall’unificazione del paese in poi.

L’Italia si è voluta unire per un’idea nazionale, simile a quelle romantiche tipiche dell’Europa nell’800. Tale idea è rimasta debole per oltre un secolo a motivo dell’incapacità di integrare il nord con il sud, il nord efficiente economicamente, il sud arretrato e vessato dalla criminalità organizzata. Tale debolezza è diventata spaccatura con la nascita della Lega Nord, tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90, esplosa insieme alla contemporanea dissoluzione del sistema dei partiti a causa di una campagna civile contro la corruzione e alla fine della guerra fredda. La Lega poneva, in forma nuova, il vecchio problema dell’arretratezza meridionale proponendo stavolta non di occupare il sud (ipotesi piemontese dal 1861 al 1943) né di adattarlo al nord (tentativo democristiano dal 1950 al 1990) ma di abbandonarlo.

La soluzione era discutibile ma la questione era vera. Le speranze di rinascita del sistema politico però sono state tradite. Né Berlusconi, né i suoi avversari sono riusciti a dare una svolta al paese in questi 20 anni, periodo in cui il paese è entrato nella moneta unica senza adeguarsi alle nuove regole economiche e di competitività dettate dalla Germania nell’Europa.

La crisi del 2008 ha accelerato i tempi, ma il risultato era già scritto. Questi quattro anni, passati nell’incapacità di reagire con decisione e radicalità agli eventi, si sono di fatto accumulati sui 20 anni di liti non risolte e difficoltà a integrarsi nell’Europa dell’euro. La crisi attuale così travalica l’annosa questione meridionale e la innesta nel problema nuovo di come l’Italia può integrarsi in Europa, o viceversa può uscirne, dopo 20 anni di mancata preparazione e di integrazione meridionale non risolta.

Questi problemi di lungo termine si sono cristallizzati in questi mesi in cui l’economia, pur tirata per la coda a un centimetro dal baratro, resta debolissima, mancano prospettive e la gente sta semplicemente abbandonando la partecipazione politica. In pochi mesi di differenza tra le elezioni politiche e quelle amministrative, i votanti sono passati dal 70% al 50% circa. Un crollo quasi parallelo lo hanno ricevuto i grillini, la forza che avrebbe dovuto cambiare il paese. In altre parole, una parte di italiani ha detto: proviamo a scommettere sui grillini, questi hanno fallito? Allora ci ritiriamo. Nessuno ha reagito a questo messaggio che pesa come un macigno, non Letta, ma neanche altri.

Da lontano il dibattito sull’Europa sembra quello che si leggeva sui libri di storia patriottici ai tempi dell’occupazione italiana da parte dell’Austria. “Andiamo a Berlino e chiediamo di più! Sforate quel 3% di deficit impostoci dalla Germania! Guastiamo le uova nel paniere europeo (cioè tedesco)”. Come se l’Italia fosse un paese occupato dall’Europa al pari di come era occupato dall’Austria 200 anni fa! Quella storia è antica, e dovrebbe essere stata risolta una volta per tutte con l’europeizzazione del continente imposta dall’America dopo la seconda guerra mondiale. Eppure sembra che quell’acrimonia risorgimentale permanga, senza però i grandi sussulti vitali del tempo.

La sensazione è che quella storia si ripeta come in una farsa di second’ordine. Infatti, che c’entrano l’Europa e la Germania col fatto che l’Italia non ha risolto la questione meridionale e per 20 anni ha fatto la cicala mentre a Berlino lavoravano come formiche? Ma soprattutto il problema dovrebbe essere: come può contribuire l’Italia all’Europa in questo momento? Senza questa risposta la politica italiana pare in realtà in attesa degli eventi, due in particolare.

Uno è il caldo estivo, che scaccia investimenti dalle Borse e le rende quindi a rischio di interventi speculativi che possono far crollare i mercati. Ad agosto, in altri termini, potrebbe esserci un nuovo attacco ai titoli italiani che metterebbe sotto pressione i titoli del tesoro. L’altro rischio è l’attesa delle elezioni tedesche, che potrebbe fare emergere una nuova compagine di governo con decisioni forse diverse sul destino dell’Unione europea e dell’Italia. Qui in sostanza il problema è che l’Italia, pur con oltre 2mila miliardi di debito pubblico, ha ricchezza privata per 8mila miliardi, forse più che in Germania. In queste condizioni non si può chiedere a tedeschi ed europei di pagare i debiti pubblici per l’Italia quando gli Italiani (o meglio: alcuni italiani) sono più ricchi dei tedeschi. 

Quindi l’Italia può essere aiutata, ma mettendola davvero sotto tutela, magari anche con una spinta di centralizzazione del sistema fiscale. Oppure, l’Italia viene espulsa dall’euro. In entrambi i casi, il Paese deve trovare un nuovo senso di sé, e lo deve fare rapidamente perché le elezioni tedesche sono a fine settembre. Letta, Grillo, Berlusconi, Renzi dovrebbero concentrarsi a rispondere a queste domande, lasciando perdere l’affanno delle minuscole polemiche. Ci riusciranno? Chiunque lo faccia avrà salvato l’Italia e un grande pezzo di Europa. Se nessuno lo fa l’Italia potrebbe rapidamente sparire.