Dopo il voto di domenica in Germania potrebbe cominciare la resa dei conti della politica italiana. I conti economici vanno, infatti, peggio del previsto. Il prodotto interno lordo frena quest’anno con un poderoso -1,7% rispetto a -1,3% delle stime precedenti; il deficit di bilancio supera la soglia del 3% e si attesta al 3,1%; il debito pubblico sfiora il 133% sul Pil, livello record dal 1924, la vigilia di quel tragico 1925, quando i fascisti imposero la dittatura.

Dietro questi numeri c’è chi invita semplicemente ad allinearsi alle richieste europee; c’è chi, come l’economista Paolo Savona, vorrebbe contrattare con Bruxelles e Berlino; e chi, la maggioranza della politica, sembra solo confusa, incapace di fare le riforme comunque necessarie o tantomeno di trattare con il resto dell’Europa.

Improbabile che questa situazione di profonda indecisione si prolunghi ancora per molto. Berlino fra qualche giorno formerà un governo che avrà un’agenda precisa per la Germania e quindi anche per il resto dell’Europa. A quel punto il governo italiano (qualunque esso sia purché non di Berlusconi, su cui c’è il veto assoluto) dovrà obbedire, sotto minaccia di essere direttamente commissariato. Quindi o Enrico Letta troverà la forza che finora non ha avuto o si andrà alle elezioni. Difficile pensare che un’altra maggioranza o un altro leader abbia il coraggio di imporre riforme radicali o farsi commissariare in una situazione così precaria.

Da ora comincia quindi il conto alla rovescia. Perciò la data dell’8 dicembre, proposta per il congresso del Partito democratico, sembra scelta apposta per massimizzare l’impatto di immagine dell’assemblea proprio a ridosso delle urne, che dovrebbero aprirsi all’inizio del 2014 se non prima. Ciò sarebbe diverso da quanto accadde l’anno scorso, quando le primarie si chiusero ancora troppo lontano dalla data del voto.

Molte sono comunque le variabili, perché nessuno altro, tranne il Pd, è interessato a elezioni subito dopo il congresso. A meno che il congresso non si riveli un disastro, cosa non impossibile. Certo, l’assemblea più attesa della sinistra, dove sembra che vincere in casa sia più importante che vincere in Italia, nasce sotto cattive stelle. In teoria si dovrebbe scegliere il candidato premier, ma in realtà sarà un referendum pro o contro Renzi.

Al di là del voto interno, l’impressione generale è che il Pd con Renzi vinca le elezioni, e che senza, le perda. In questo modo se Renzi vince le prossime elezioni politiche è premier, se perde comunque ha una possibilità forte di prendersi il partito. I nemici di Renzi, se lo sconfiggono al congresso devono poi vincere le elezioni (molto improbabile), altrimenti consegnano il partito impacchettato a Renzi. 

Oppure possono dare il partito al sindaco di Firenze sperando che perda al voto o fallisca come premier. Se le cose stanno così, a che serve il congresso? Non certo a scegliere il candidato premier, ma solo a organizzare la campagna elettorale, e da qui la data dell’8 dicembre è indicativa della data del voto.

C’è però poi un altro aspetto più profondo e dalla Cina incomputabile. Da Firenze non si sente altro che parlar male del sindaco come amministratore. Se Renzi ha gestito male una città non tra le maggiori italiane, perché dovrebbe fare meglio con l’Italia?

In Cina la guida di amministrazioni locali via via più grandi è l’esame necessario da superare per sperare un giorno di guidare il Paese. L’attuale presidente Xi Jinping si è imposto per la sua carica dopo avere per molti anni guidato il governo della provincia costiera dello Zhejiang (circa 60 milioni di abitanti, quanto l’Italia). Qui aveva lanciato lo sviluppo scommettendo sulle imprese private. Prima aveva fatto benissimo nella vicina provincia del Fujian (circa 40 milioni di anime) passando da vice sindaco della città di Xiamen (3,5 milioni di abitanti) a segretario del partito della capitale provinciale, Fuzhou (7,2 milioni di abitanti). Ancora prima (dai 31 ai 34 anni) aveva guidato la contea di Zhending, non lontano da Pechino, con ora 600mila abitanti, più di Firenze.

In ciascuno di questi periodi Xi ha fatto benissimo, tanto da salire al livello successivo e competere con altri amministratori, spesso anche ottimi, per l’obiettivo ultimo della leadership nazionale. Se non fosse andata così la sua carriera si sarebbe fermata. La logica è banale: se non ha gestito bene il piccolo sicuramente farà male a gestire il grande. Perché questa logica vale per la Cina ma non deve valere per l’Italia? Oppure diteci che Renzi ha fatto benissimo a Firenze, e Firenze e Toscana compatti lo vogliono premier.

Ma a questo punto tale ragionamento non vale, perché comunque Renzi è popolare e bocciarlo sarebbe come bocciare le chance di vittoria del Pd.

I renziani dicono: sì, ma Renzi ha fatto politica nazionale… che è come dire Firenze non conta, è giovane, vuole rinnovare, questo vale di più. Sarà, ma vista la situazione da fuori, comunque molte cose non quadrano. In un paese come l’Italia tutto questo rischia di diventare la ben nota rincorsa perenne del miracolo all’ultimo minuto invece che il premio per il lavoro metodico e quotidiano. Certo, come non rimanere affascinati e sedotti dai tanti cicaloni invece che dalle noiose formichine?A meno che, tutto torni poi nella logica: Renzi non vince o se vince si rivela un cattivo premier. In fondo anche il Vangelo racconta che il figliol prodigo fu festeggiato, sì, al ritorno a casa, ma non si legge che il padre gli diede poi la famiglia da gestire.

In ogni caso per tutto questo bisogna attendere, perché non tutti gli assi sono in mano al Pd, anzi. Altri, il Pdl e M5S, battono con forza alla porta del governo.

Infine, non si tratta di una disputa chiusa, in un perimetro a tre ben delimitato. I conti e la storia italiana infatti spingono a pensare in una deriva autoritaria se non dittatoriale. Già oggi molti, a destra o a sinistra, sognano un uomo forte. Potrebbe sembrare un ragionamento per assurdo poiché le dittature sembrano essere state per sempre espulse dall’occidente; ma è davvero così?

La guerra in Jugoslavia negli anni 90 ha riportato in Europa ciò che sembrava impossibile – conflitto e stermini a pochi chilometri dalle grandi e pacifiche capitali occidentali. Oggi un virus di caos e autoritarismo in Italia rischierebbe di avvelenare il mondo. Allora un commissariamento dell’Italia potrebbe essere la salvezza dell’Italia e dell’Europa.