A leggerla sui quotidiani italiani, quelli che per primi avevano sostenuto la candidatura di Matteo Renzi, quasi ex sindaco di Firenze e quasi neo premier italiano, la vittoria politica è macchiata da un peccato originale.

Il quasi ex sindaco aveva promesso che sarebbe diventato premier solo se avesse vinto in un voto elettorale, invece in queste ore si ritrova di fatto primo ministro con una specie di golpe di palazzo. Il premier uscente Enrico Letta si trova dimissionario perché sfiduciato dalla direzione del suo partito, guidata da Renzi appunto, e non da un voto delle urne o del Parlamento, come vorrebbe il Renzi del passato, o la democrazia italiana.

In realtà che importa questo? Quello di Renzi non è il primo né sarà l’ultimo dei golpe di palazzo. La storia ne è piena da secoli. Le staffette tra segretario e presidente del Consiglio erano la prassi in epoca italiana della Dc. Né sono finite con la seconda Repubblica.

Il primo governo Berlusconi è caduto con un tradimento, la Lega passata da destra a sinistra; Prodi fece largo a D’Alema in una disputa tutta interna. Ma mai il destino di un leader si è arenato sul come ha preso il potere, ma solo su cosa egli ha fatto del potere nelle sue mani.

Ci potrebbero essere stati buoni motivi per evitare le elezioni. Il primo fra tutti è che sono incerte. È incerto che avrebbe vinto Renzi, ed era possibile anzi che vincesse Berlusconi o Grillo, entrambi non sostenuti dalle cancellerie europee o ultra atlantiche. O peggio che il voto non facesse uscire dallo stallo politico attuale. Bisognava quindi garantire stabilità e certezze, mentre l’iter della riforma elettorale è di fatto ostaggio di parlamentari che non vogliono dimettersi e rinunciare alla rielezione.

Inoltre, dopo essersi assicurato il maggiore partito d’Italia, Renzi ha anche bisogno delle leve economiche. A marzo vanno rinnovati i vertici delle grandi aziende di Stato e tali nomine spettano al capo del governo, quindi il sindaco di Firenze ha bisogno di essere a Palazzo Chigi per mettere i suoi uomini nei punti vitali. Infine a marzo è atteso a Roma dal papa il presidente americano Barack Obama. Questa sarà comunque un’importante passerella internazionale che Renzi vorrà usare per sé e non certo regalare ad altri.

Quindi siamo stati facili profeti, pronosticando che Enrico Letta sarebbe caduto prima di maggio.

Detto questo ora Renzi premier ha oggi sulle spalle aspettative enormi, tanto più grandi in quanto è il secondo “uomo del destino” che dovrebbe salvare l’Italia. Il primo, Mario Monti, arrivato alla presidenza del Consiglio in maniera ancora meno democratica due anni e mezzo fa, fallì.

Diversamente da Monti, oggi Renzi ha due prove da superare in tempi strettissimi. Il 24 maggio ha le europee, dove si voterà con un sistema proporzionale e quindi si misurerà il grado di approvazione del suo governo che allora avrà appena tre mesi, in teoria pochissimo per potersi affermare. Altra prova sarà il semestre di presidenza italiana alla commissione europea. Da uno o entrambi i test Renzi potrebbe uscirne con le ossa rotte.

In entrambe le occasioni Renzi sarà giudicato per quello che riuscirà a fare. Qui il vero peccato iniziale dell’ormai ex sindaco di Firenze: non ha un programma e si appresta a governare per cambiare l’Italia, ma in che modo?

Forse il cattivo umore con cui giovedì è apparso davanti alle telecamere mentre avrebbe dovuto essere felice di essere incoronato è dovuta a questa incertezza. L’uomo finora sembra si sia spinto sempre più avanti come per paura di cadere indietro, ma ora che ha il potere deve cambiare registro.

Come scriveva il padre degli storici cinesi Sima Qian, gli strumenti per conservare il potere sono radicalmente diversi da quelli usati per arrivare al potere. Cioè un rivoluzionario giunto al potere con la rivoluzione deve diventare controrivoluzionario per mantenere il potere acquisito. Secondo Sima Qian quindi il rottamatore Renzi deve diventare statista, cosa che in questo caso si fa con un programma radicale e una sua applicazione determinata. La certezza di un programma del resto contribuirebbe a dare sicurezza al nervoso Renzi.

In queste ore molti accanto a lui gli parleranno di economia, che è il cuore del problema italiano. Da lontano ci permetteremmo di dirgli, però, che la risposta vera del paese non è né può essere una ricetta economica.

Renzi ha avuto il potere grazie a un sogno di distruzione: rottamare il vecchio. Oggi deve tirare fuori un altro sogno per ricostruire l’Italia.

Il presidente cinese Xi Jinping in un momento critico del paese, quando la Cina deve proiettarsi in avanti e affrontare i mille nodi irrisolti di trent’anni di riforme economiche, ha guardato all’America e lanciato l’idea di un sogno cinese. Lungo e forviante qui presentare il sogno cinese, ma forse oggi Renzi avrebbe bisogno di presentare un sogno italiano, che non sia chitarra e mandolino, né tasse e licenziamenti, ma un’idea di sviluppo concreto e un piano di proiezione dell’Italia nel futuro.

Solo così Renzi supererà la prova del 24 maggio e del semestre italiano. Altrimenti, con o senza partito o aziende di Stato, come nel più classico dei complotti di palazzo, il neo premier sarà caduto in uno degli ancor più classici trappoloni della politica italiana: dargli il potere ora, prima che fosse pronto e senza un mandato popolare, proprio per poterlo tirare giù ed eliminarlo politicamente in pochi mesi.