Il potere lo ha avuto; ora Matteo Renzi, neo presidente del Consiglio d’Italia, ha tre mesi per provare la sua “nobilitate”, come avrebbe detto un suo conterraneo fiorentino di sette secoli fa. Il 24 maggio, le elezioni europee saranno di fatto una specie di referendum sulla sua azione di governo. Se le vincerà potrà avere un’accelerazione, se le perderà o farà mediocremente, affronterà il semestre di presidenza italiana all’Unione europea da anatra zoppa; cosa che potrebbe essere prodromo di ulteriori disastri.

Proprio augurandogli tutto il bene del mondo, per amore dell’Italia, se non per lui, ci permettiamo di sollevare qualche perplessità iniziale e immodestamente affermare qualche punto.

Il suo governo di 16 ministri ha otto donne e un’età media di 43 anni. Questi due elementi paiono pensati per colpire i titoli della stampa e dare un primissimo segnale di svecchiamento e novità, di cui il paese ha senz’altro bisogno. Ma proprio per questo, se le persone non sono state scelte con saggezza e senza fretta, il messaggio profondo potrebbe essere di un governo populista, e populismo per populismo forse meglio scegliere la versione dura e pura del populismo di Beppe Grillo e del suo movimento a cinque stelle.

In Cina durante la rivoluzione culturale, nel 1966, milioni di giovani sono stati mobilitati contro i vecchi, contro i loro insegnanti e perfino contro i propri genitori. In realtà non era una campagna di rinnovamento autentico, ma una guerra di vecchi, Mao Zedong contro il suo compagno d’armi e coetaneo Liu Shaoqi, e contro tanti che lo avevano seguito ma si erano allontanati da lui.

Il rinnovamento vero della Cina arrivò un decennio più tardi, con un signore di 74 anni, Deng Xiaoping, che lanciò le riforme nel 1978. Inoltre le accompagnò fino a 88 anni, quando nel 1992 con un viaggio nel sud del paese le rispinse in avanti dopo la dura pausa per la repressione del movimento di Tiananmen nel 1989.

In Italia è avvenuto qualcosa di simile con il 68. Allora i ragazzi si lanciarono all’assalto da soli o c’erano dei vecchi che li manovravano? In ogni caso quelli che presero il potere culturale e pratico allora, una volta vecchi non lo hanno lasciato alle generazioni più giovani, ma lo hanno spesso tenuto tutto per sé.

Ciò a dire che la gioventù politica di per sé non significa niente, né significa alcunché di rispetto per la donna il fatto che ci siano metà delle donne ministro. Piuttosto stavolta è possibile che i giovani ministri, oggettivamente incompetenti, diventino ostaggio delle loro amministrazioni e quindi lo svecchiamento del paese si arresti. 

Infatti, se pure Matteo Renzi sarà un neo Alessandro Magno del 2014, è improbabile che tutta la sua compagine di giovani ministri lo sia. Alessandro Magno, re a 18 anni, è naturalmente una grande rarità.

C’è quindi la possibilità facile che nelle prossime settimane e mesi molti ministri di Renzi si dimostrino impotenti, incapaci, pronti a essere divorati dalle loro burocrazie e dalla stampa impietosa. Ciò rischia di essere ancora più vero se, come cominciano a dire in molti, il problema non è solo nella classe politica italiana ma anche nella sua alta burocrazia che fa e non fa, rivela e non rivela al proprio ministro, per preservare le sue convenienze di bottega.

Alesina e Giavazzi scrivevano sul Corriere della Sera: “Quali siano i problemi dell’Italia lo sappiamo da tempo: un debito pubblico enorme, una recessione che sembra non finire mai, banche che prestano col contagocce, una disoccupazione soprattutto giovanile elevatissima, una tassazione asfissiante, una burocrazia che impone oneri immensi alle imprese, e infine i costi della politica. La difficoltà non è dunque individuare le cose da fare, ma metterle in fila e poi affrontarle con determinazione”.

I due economisti chiedono di rendere il lavoro più flessibile, creare un ambiente più favorevole alle imprese e snellire il peso dello stato.

Qui non paradossalmente sarebbero i ministri più anziani, più esperti, quelli realmente necessari a dare una mano concreta nell’azione di governo. Ma non basterà. L’onere del traino del governo cade quindi pesantemente sul premier che dovrebbe dare subito, entro uno, due mesi, segnali potenti che qualcosa di molto diverso stia accadendo. Devono essere poi progetti effettivamente attuabili, non slogan.

Quindi benissimo la promessa di tagliare subito la spesa pubblica, ma bisognerà vedere in effetti quanto e come.

Qui c’è poi un altro elemento. Il grande nemico di Renzi oggi non è Berlusconi né altri contendenti del suo partito. Il nemico è Grillo. Se Renzi fallirà, infatti, pare improbabile che ci sia un altro spazio per le formazioni della seconda Repubblica; allora sarà Grillo a portare, lui sì, sicuramente una grande rivoluzione.

Quindi tutti quelli che vogliono evitare il grande cambiamento devono tifare per il fiorentino che promette di spaccare le montagne. Quelli che pensano invece che la rivoluzione sia l’unica risposta per i guai italiani, remeranno e tiferanno contro, e già fra un paio di mesi si potrà cominciare a tirare le somme.