Il premier Matteo Renzi ha voltato pagina nella politica e ha inaugurato la terza Repubblica, finendo l’epoca dominata da Berlusconi e l’interregno dominato dal presidente Giorgio Napolitano, che, in una difficile fase di passaggio, aveva nominato ben due governi, Mario Monti ed Enrico Letta, senza passare da un forma di consenso popolare.



Invece Renzi, grazie a una combattuta vittoria nelle elezioni popolari nel suo partito, il Pd, ha respinto le pressioni di Napolitano due volte, la prima quando ha preso il potere a Letta, e la seconda quando ha chiesto al presidente della Repubblica di mettere a tacere il presidente del Senato Pietro Grasso che all’indomani della visita di Barack Obama voleva fermare la riforma della seconda camera.



Certo, la riforma della legge elettorale e l’abolizione del Senato avranno bisogno di tempo, forse anche due anni, il che coincide con le richieste degli attuali parlamentari che, coscienti di non essere rieletti in maggioranza, non vogliono un voto anticipato. Tali riforme cambieranno per sempre l’assetto del paese, dove il bipolarismo perfetto era pensato proprio per evitare una concentrazione di potere, un contrappeso istituzionale contro una vittoria elettorale dei comunisti o di un potere totalizzante.

In cantiere c’è dunque la riforma che anche altri, a cominciare da Berlusconi, avevano tentato. La differenza è che Renzi sembra ci stia riuscendo, imponendo a tutti il fatto di essere il maestro dei giochi. Prendendo l’iniziativa in maniera così forte, Renzi ha imposto la sua agenda in un momento di vuoto pneumatico: Berlusconi è fuori gioco per un anno almeno, vista la sua condanna, il Pd è schiacciato su Renzi o spaventato, i piccoli sono un contorno in via di estinzione, Grillo è il Ba-bau che fa tremare tutti la notte ma è, e vuole essere, fuori dalla partita, scommettendo sul disastro totale.



In questo vuoto, Renzi prova la sua forza. La forza non è totale, non lo sarà mai. Il suo potere è parziale, molto è stato devoluto a Bruxelles, di fatto a Berlino e Francoforte, e altro è stato ripreso dagli americani, giustamente timorosi che gli italiani gestissero male e con leggerezza una eccessiva indipendenza rispetto alla Russia o al Medio Oriente.

Ma questa forza, mostrata di fronte a Napolitano e a un Parlamento intimorito dalla legge elettorale, potrebbe domani essere usata nel breve e medio periodo in altri campi. Nel medio periodo per riformare il lavoro, liberalizzare, eliminare lacci e laccioli che soffocano le imprese e tagliare la burocrazia.

Nel breve periodo la sua prova potrebbe passare per una raffica di nomine negli enti statali, non fatte più con il bilancino dei vecchi equilibri romani, ma con un nuovo coraggio, specchio della trasformazione in corso. La cascata di nomine che arriverà in questi giorni (oggi stesso, a quanto pare), potrebbe cambiare molte strutture del paese. Sarà così? O Renzi sta subendo il ricatto dei magistrati e della Gabanelli, come ha sostenuto Sansonetti su queste pagine?

In ogni caso attraverso questo elenco di persone che gli devono la poltrona, senz’altro Renzi imporrà una sua influenza nel paese per i prossimi anni e da qui si vedrà anche che genere di mandato intende promuovere. Saranno davvero persone nuove, fuori dai vecchi giochi romani? Per esempio, riuscirà ad attirare intorno a sé i tanti talenti italiani oggi sparsi all’estero? Oppure le nomine mostreranno il vecchio gattopardismo della politica italiana?

In questo il suo metodo di lavoro potrebbe essere efficace: un piccolissimo nucleo affiatato di fedelissimi che tiene in mano tutto. A loro andranno tutti i meriti e i rischi di queste nomine. Oppure si tratta di un piccolo nucleo che dirige il grande mercato degli scambi di favori dietro a queste nomine?

In ogni caso il vero problema è la lunga durata e la politica estera. Oggi all’estero nessuno vuole minare Renzi, che appare essere l’ultima sponda della politica italiana. Eppure gli incontri di politica estera finora non sono andati troppo bene. Non è stato bello l’incontro con Obama (di cui abbiamo scritto), ma neppure quello con il cancelliere tedesco Angela Merkel, la quale sembra sia rimasta perplessa dal primo contatto con un premier un po’ facilone nel tracciare il futuro del suo governo.

Nel lungo periodo ci vogliono riforme solide, che integrino l’Italia in Europa, ci sono questioni di sicurezza molto delicate e rapporti internazionali su cui c’è bisogno di avere idee nuove. In tutte queste aree non c’è spazio per l’approssimazione attuale e su questo la velocità della prova di forza deve lasciare il passo alla solidità della pianificazione.

In questo Renzi è fortunato, ha un po’ di tempo. Il tempo è la fine della pena di Berlusconi che coincide grosso modo con la fine del processo accelerato della riforma del Senato, un anno e mezzo, due. Se per allora Renzi si sarà strutturato, avrà schivato gli attacchi e avrà messo in piedi un piano di lungo periodo per il paese, allora potrebbe rimanere al potere ancora molto a lungo. Se viceversa sarà rimasto travolto, per allora molto probabilmente un’alternativa sarà nata da qualche parte del paese.