Bisognerebbe rivolgere due preghiere al presidente del Consiglio Matteo Renzi, per il bene suo e per quello dell’Italia. Entrambe hanno a che fare con la Cina, ma allo stesso tempo hanno sicuramente un impatto importante in Italia per il suo governo.

La prima riguarda il suo viaggio in Cina programmato per giugno, la seconda è sull’annosa questione del porto di Taranto, che potrebbe essere a una svolta purtroppo negativa, anche in questo caso a giugno.

La premessa delle preghiere è quello che avverrà nelle elezioni europee del 25 maggio. Qui l’obiettivo, dice il raffinato osservatore della politica italiana Stefano Folli, è doppio. Il partito di Renzi, il Pd, deve riuscire a distanziare la marea grillina mettendo almeno un 5% di differenza tra sé e M5S. Con 6, 7 punti percentuali di differenza i deputati del Pd confermeranno la fiducia in Renzi e Renzi rafforzerà la sua forza nel partito. Se ciò non avviene Renzi perde o incrina l’aura del vincente che ha avuto fino ad ora, e il partito rischia di sfaldarsi in un incontrollabile “si salvi chi può”.

D’altra parte però nemmeno Berlusconi, la forza principale che sostiene dall’esterno Renzi, può crollare. Un suo crollo potrebbe farlo temere per la sua vita politica, facendolo agitare più del dovuto, cosa che potrebbe scuotere il governo non certo solidissimo.

È una doppia alea che moltiplica i rischi, e porta alla ragionevole conclusione che le elezioni per Renzi in un modo o in un altro (perché avrà meno del 5% di vantaggio su Grillo o perché Berlusconi crollerà) andranno male. Ciò non significherà la caduta del governo, ma potrebbe iniziare un periodo di tormento nel semestre di presidenza italiana all’Unione europea, aggravato dal fatto che Renzi è in realtà senza un ministro degli Esteri e senza esperienza di esteri.

Naturalmente, può darsi che contro i ragionevoli calcoli di rischio le elezioni siano un trionfo per Renzi: per questo dobbiamo aspettare il 25 maggio. Quello che però non può aspettare quella data sono due decisioni sul viaggio in Cina e sul porto di Taranto.

Un viaggio in Cina a meno di un mese dal risultato elettorale rischia di nuovo di aumentare ogni pericolo. Se il voto sarà andato male, in un modo o nell’altro, Renzi dovrà tappare ogni buco e quindi sarà costretto a un rinvio all’ultimo minuto (cosa da incidente diplomatico o quasi), oppure le polemiche italiane oscureranno gli incontri a Pechino (un altra rovina sul piano diplomatico).

Ma se anche il voto sarà stato un trionfo, Renzi dovrà cercare di battere il ferro finché è caldo, stringere i bulloni, allora oliati, del suo controllo del partito e del Parlamento. Cioè si ritorna allo scenario precedente.

Qualcosa di simile rischia di avvenire a Taranto, dove dopo anni di attese e inutili speranze il consorzio che ha investito centinaia di milioni nel porto, composto da Hutchinson Wampoa (Hong Kong) e Evergreen (Taiwan), a giugno minaccia di andarsene e fare causa allo stato per danni miliardari. Infatti, lì non sono ancora cominciati i lavori di dragaggio dei fondali che si sarebbero dovuti completare dieci anni fa!

La colpa è della giungla burocratica. La conseguenza potrebbe essere, in piccolo, l’esplosione di una città già stremata per la questione dell’Ilva. In grande, un’ondata di terrore tra gli investitori stranieri che stanno ri-annusando l’Italia dopo anni di distanza.

In caso di insuccesso elettorale, Taranto sarebbe una bomba; in caso di successo sarebbe un boccone amaro che potrebbe avvelenare il successo e forse addirittura capovolgerlo. Quindi per entrambi i casi Renzi dovrebbe prendere una decisione ora. Per il viaggio in Cina bisognerebbe semplicemente rinviarlo a quando avrà tempo e modo sufficienti per andarci (peraltro con un’agenda concreta).

Per Taranto dovrebbe dare una spallata oggi, lui, di persona, a una situazione che per troppo tempo è stata abbandonata a se stessa. Entrambe le cose sono utili a lui e al paese e forse entrambe, ma specie Taranto, possono dargli un risultato concreto che invece su altri fronti (per difficoltà e legali e costituzionali) rischia di mancargli. Questo risultato politico invece gli serve come e più degli 80 euro in busta paga per dimostrare all’Italia e al mondo che qualcosa sta cambiando sul serio, al di là dei proclami da Twitter.