Matteo Renzi è un genio dell’improvvisazione, uno scattista del twitter, un eroe della battuta.
La Cina è come una sinfonia barocca di Bach, i più capiscono la struttura e il capolavoro dopo due secoli e rotti; è una maratona allungata, perché anche 42 km non bastano per una tappa della grande muraglia; è un involuto trattato di teologia, dove il senso profondo e vero è nei dettagli nascosti.
L’uno, Renzi, ama stupire, lavorare all’impronta; l’altra, la Cina, ama programmare, prepararsi, e odia tutte le sorprese, anche quelle piacevoli. Sono due universi separati, insomma, come potranno mai incontrarsi?
È impossibile che la Cina si adatti a Renzi, per mille motivi. È possibile che Renzi si adatti alla Cina?
Un po’ Renzi lo ha fatto. All’inizio voleva fare una visita di un giorno. Opportuni consigli, dicono, gli hanno fatto cambiare idea e il tempo della permanenza si è triplicato. Altrimenti sarebbe parso un insulto o peggio. Il premier italiano oltre che in Cina passa per Vietnam e Giappone, due paesi con rapporti tesi con il vicino, e finisce in Kazakhstan, tanto da sembrare un tentativo di accerchiamento ostile.
Detto questo, cosa potrà fare? Cercare di dare una buona impressione. Il maggiore dubbio sulla Cina dell’Italia è che il governo non duri, un’altra volta. In fila, Berlusconi, Monti, Letta direttamente o indirettamente hanno tutti spergiurato al mondo e ai cinesi stabilità e continuità (che non c’è stata), perché ora qui si dovrebbe credere a Renzi?
Immodestamente, il presidente del Consiglio ci perdoni, il modo in cui potrebbe dare fiducia ai cinesi non sarà tanto spiegando ma chiedendo, e nella Cina forse c’è qualcosa il cui spirito potrebbe essere utile all’Italia in questo momento.
La Cina ha avviato il suo sviluppo tra la fine degli anni 70 e gli inizi degli 80 senza un quattrino, ma solo con forti sconti fiscali, semplificazioni burocratiche e una riorganizzazione burocratica pensata per favorire la nascita e crescita di nuove imprese.
La Cina in linea di principio sarebbe interessata ad andare a investire in Italia, non si aspetta sussidi, ma vorrebbe un’atmosfera simile a quella che lei offrì agli stranieri 30 anni fa. La giungla dei regolamenti, la follia burocratica, l’incontrollabilità dei tempi e dell’atteggiamento della legge, seminano il panico a Pechino.
Per affrontare questi ostacoli più grandi dell’Everest la cosa più semplice e fattibile sarebbe, vista da Pechino, per esempio, azzerare tutte le norme amministrative in Italia ed emanare una nuova semplice e comprensibile legge quadro. Quindi prevedere una serie di controlli e punizioni esemplari per chi non si adegua. Perché non si fa? Perché non si può fare?
In Italia infatti le vecchie regole vengono modificate, poi modificate ancora, e quindi ancora… e sembra di aggiungere confusione ad altra confusione, con controlli scarsi, grandi scandali sui giornali ma niente vere punizioni di fatto. Perché funziona in maniera così bizzarra? Le leggi sono pezzi di carta, come sono scritte così possono essere azzerate e riscritte; o no?
Senza questa semplificazione, infatti, il rischio è che qualunque investimento, interno o straniero venga poi ingoiato in un buco nero che foraggi non la crescita ma la rapina per indolenza o malizia dell’apparato burocratico.
Il caso di Taranto è esemplare. Qui un’azienda di Taiwan e un’altra di Hong Kong volevano trasformare il porto nel più grande centro di trasporti del Mediterraneo e dell’Europa. Eppure oggi non sono iniziati i lavori infrastrutturali che dovevano essere completati 10 anni fa! Come ci si può fidare dell’Italia con la sua storia di patti mancati da oltre 20 anni?
Agli inizi degli anni 90 la Cina offrì all’Italia di Andreotti e De Michelis l’affare colossale dello sviluppo di Pudong. L’affare venne travolto da Mani Pulite, che buttò insieme l’acqua con il bambino sporco… e lo sviluppo di Pudong soffrì ritardi enormi. Dopo di allora i cinesi, misericordiosi, spiegarono che gli italiani sono “romantici”, una frase gentile per dire che promettono mari e monti ma non realizzano niente.
Per raddrizzare questa storia non ci sono colpi di bacchetta magica, ma organizzazione e conoscenze. La scommessa di Renzi allora non è in questo viaggio ma in quello che farà dopo: si organizzerà per affrontare seriamente la Cina e l’Asia? Se sì, sarebbe almeno un inizio, altrimenti Renzi risulterà solo un altro “romantico”.