Ci sono due elementi che potrebbero essere entrambi inquietanti o positivi all’inizio di questa “era Renzi” della politica italiana. Da un lato c’è la mancanza di opposizione, dall’altro c’è il punto interrogativo, collegato, su cosa Matteo Renzi vuole fare dell’Italia, dove la vuole portare.
La mancanza di opposizione è dovuta al potere choccante che il suo 40% alle europee ha avuto, al colpo inferto ai 5 Stelle di Beppe Grillo che ora, dopo mesi di opposizione intransigente lanciano segnali di disponibilità a trattare con il governo (forse arrivando troppo tardi, a giudicare da quanto si apprende a proposito dell’accordo sulle riforme).
Ma forse ancora di più deve alla finale separazione delle due anime del partito di Silvio Berlusconi. Forza Italia è stato infatti il partito che da un lato ha rappresentato la reazione conservatrice alla minaccia della sinistra, ma dall’altro anche la forza politica che tutelava gli interessati privati dell’imprenditore Berlusconi.
Finora, come un Giano Bifronte, i due volti sono stati sempre l’uno parte dell’altro, perché la sinistra attaccava gli interessi personali di Berlusconi e i votanti percepivano questo come un insulto a principi di conservazione. Ora che Renzi e Berlusconi pare che abbiano siglato un patto per cui il premier si “prende cura” degli interessi personali dell’imprenditore Berlusconi, i due volti di Giano si sono staccati.
Berlusconi ha ogni interesse a continuare a tutelarsi oggi così, specie perché i suoi guai giudiziari sono lungi da essere finiti e Renzi, forte dei suoi successi elettorali, può proteggerlo meglio di quanto lui – Berlusconi – possa fare da solo. Renzi ha interesse a proteggerlo, perché così ne evira la potenziale forza politica.
Solo che in questo processo la destra sparisce. Berlusconi non ha alcun interesse a vincere elettoralmente oggi, e sa che ci sono troppi veti internazionali sul suo capo, quindi forse nemmeno in futuro. Né però vuole regalare il partito, organizzato quasi come una sussidiaria della sua azienda, a qualcuno che lo porti avanti indifferentemente dai suoi interessi di imprenditore.
Quindi in teoria la destra per riavere una speranza di vittoria dovrebbe liberarsi di Berlusconi e avere un programma e un leader all’altezza di Berlusconi; oppure Berlusconi dovrebbe fare un gesto generoso in cui si mette da parte, ma entrambe le cose oggi paiono lontane.
Senza la prospettiva concreta di un partito conservatore con reali possibilità di esprimere un premier, e una destra più o meno grande congelata in un ruolo minoritario si elimina il bipartitismo, miraggio politico della fine della prima repubblica, e si ritorna a una centralità democristiana, incarnata in Renzi, che stavolta può accedere a destra e forse anche a sinistra (5 Stelle) per il sostegno ai suoi programmi.
Questa, finora, la formula che sembra stia portando a buon fine le grandi riforme istituzionali che trasformerebbero il processo politico italiano. Si spezza la divisione di poteri, ossessione dei costituenti del dopoguerra spaventati dal doppio spettro di un ritorno del fascismo e dell’arrivo del comunismo, e si arriva a un parlamento, e poi un governo capace finalmente di muoversi e decidere.
Qui però viene il secondo punto. Con tutto questo potere attuale (e forse anche futuro), cosa vuole fare Renzi dell’Italia? Dove la vuole portare? Inoltre, senza una reale opposizione Renzi non rischia di avvitarsi su stesso? In fondo per tanti versi fu l’opposizione del Pci e l’ombra che gettava sulla politica italiana che spinse la Dc a un programma di riforme che portarono alla crescita industriale e sociale dell’Italia, dagli anni 50 fino agli 80.
In Cina non c’è un partito di opposizione ma ci sono due elementi altrettanto importanti. C’è un senso di direzione politica forte della leadership che vuole fare la Cina grande e forte, vuole rendere i cittadini cinesi benestanti e vuole inserire compiutamente la Cina nel mondo, “jie gui” (cioè collegare, jie, i binari, gui, cinesi con quelli del mondo).
In questo processo un ruolo potente hanno sia le critiche interne, espresse attraverso i social media, sia le pressioni dei media internazionali, che tengono Pechino all’erta e sul chi vive, vista l’importanza crescente della Cina nel mondo.
In Italia però è improbabile un ruolo critico del media internazionali, perché l’Italia non è così importante e perché fuori tutti hanno paura delle alternative a Renzi ossia Berlusconi e Grillo. Diventerebbe allora fondamentale la direzione di marcia che il premier vuole per l’Italia. Cioè: oggi Renzi cerca di avere riforme istituzionali che gli diano potere, tale potere servirà a riforme che ridiano slancio all’economia e rimettano i conti in ordine. Benissimo, ma anche i conti in ordine e l’economia sono mezzi, non fini: che Italia Renzi vuole per il futuro?
In teoria questa sarebbe stata la prima domanda a cui Renzi avrebbe dovuto rispondere candidandosi a leader italiano. Dato però che ormai la politica è spettacolo, questa è diventata la domanda finale.
In effetti il premier non ha bisogno di rispondere ora a questa domanda, visto che le riforme istituzionali e poi quelle economiche ancora non sono state concluse, e potrebbe aspettare perfino degli anni a rispondere. Ma in mancanza di opposizione e senza una chiara direzione di marcia futura Renzi rischia di avvitarsi su stesso.
La prospettiva è tanto maggiore in quanto molti economisti, anche simpatizzanti del premier, continuano a sollevare dubbi su come il governo troverà le coperture di bilancio per gli 80 euro dati in busta paga. Cioè, se i conti non tornano e le riforme si incagliano un modo per continuare ad avere un forte consenso sarebbe un programma alto per l’Italia e l’Europa che responsabilizzi i leader verso i cittadini e supplisca all’assenza di opposizione.
Senza ciò, il rischio − a fine anno o l’anno prossimo, con un’economia che non tirasse − potrebbe essere non che Grillo o Berlusconi rialzino la testa, ma semplicemente che qualcuno da qualche parte tiri fuori un altro Renzi dal cappello, come c’è stato un Monti o un Enrico Letta o Renzi stesso.