In queste elezioni Renzi è riuscito in quello che sembrava impossibile, al di là di ogni aspettativa. In base a un semplice calcolo probabilistico noi scrivevamo che era molto difficile per il Pd riuscire nello stesso tempo a vincere e a impedire il crollo del partito di Berlusconi, il cui sostegno è necessario al governo. Questo invece non solo è accaduto, ma c’è stato di più: il trionfo oltre ogni precedente storico di Renzi, che con il 41% ha portato il Pd a livelli della Dc del 1948. Forse sta proprio qui, in quel precedente storico, il nodo per capire cosa è successo.

Due elementi si sono intrecciati in questo voto: i sondaggi su Beppe Grillo e il suo Movimento a 5 Stelle erano sbagliati, e hanno provocato il panico tra i votanti che sono corsi verso l’unica alternativa in campo, cioè Renzi. Berlusconi, infatti, era ed è fuori gioco per gli arresti domiciliari e soprattutto perché la destra appare consumata in idee e slancio.

Si tratta di una dinamica simile a quella del ’48. Allora il terrore di una vittoria elettorale comunista con “sondaggi” dell’epoca che davano il trionfo di Togliatti portò la maggioranza degli italiani a schierarsi con la Dc, e partiti come i socialdemocratici, i liberali o i repubblicani raccolsero solo le briciole nello scontro fra giganti.

Questo schema ora ha dato a Renzi una centralità simile a quella della Dc, confortevolmente in mezzo a due sfidanti entrambi senza speranza di vittoria, Berlusconi e Grillo, quasi come i democristiani erano in mezzo a due alternative entrambe impossibili, i neo fascisti del Msi e il Pci.

Naturalmente questi paragoni non sono da prendere alla lettera. Berlusconi e Grillo hanno entrambi caratteristiche molto diverse dal Msi o dal Pci. Grillo ha perso perché, come ha detto lo storico meridionale Roberto Nistri, l’Italia è il paese della commedia dell’arte, agli italiani piace fare rumore ma poi votano per la moderazione. Le piazze affollate di Grillo erano dunque questo, solo spettacolo; come lo erano le strade gremite di dimostranti della sinistra extra-parlamentare nel ’68, che si trasformavano in uno stentato 1 o 2% alle urne.

Grillo in quelle piazze ha votato la sua condanna. Quando prometteva processi mediatici contro i corrotti del passato “tanto per ridere”, quando nascondeva il suo controllo assoluto del partito dietro il dito del “voto della rete” (e perché non un bel voto nelle sezioni con votanti con nome e cognome?) comunicava terrore. Infatti a) era chiaro che Grillo è “dittatore” del suo partito e quindi con una vittoria rischiava di diventarlo dell’Italia b) i processi, mediatici o no, anche se cominciano “per ridere” non si sa come finiscono e da sempre, per mille motivi, la maggioranza degli italiani si sente più vicina ai preti corrotti che ai Savonarola.

Molti in passato avevano votato Grillo per dare una lezione ai politici, ma non volevano vederlo al governo. O anche: chi lo ha votato voleva vedergli fare qualcosa, e non rifiutare di collaborare e screditare l’unica esperienza di governo, come quella di Parma, tutto sommato positiva.

Dall’altra parte Berlusconi, assente dal voto, senza un successore candidato ma comunque presente nell’occupare lo spazio a destra, toglieva ogni elemento di competizione da quel settore. Chi paventava Grillo poteva solo votare Renzi per fermare la marea montante.

Questi elementi oggettivi creano oggi un altro rischio matematico apparente. Con il 41% Renzi alle prossime elezioni può solo perdere. È infatti molto probabile che questo risultato non venga ripetuto.

Fugato il fantasma Grillo, molti torneranno a votare in maniera più consona ai propri istinti che potrebbero non essere quelli del Pd. Quindi bene per Renzi nel breve periodo − i prossimi nove mesi, un anno −, male nel medio e lungo periodo quando nel prossimo test elettorale i voti di Renzi crolleranno; ciò che potrebbe aprire la grande faida nel Pd.

Ma sarà poi davvero così? Alcuni − come lo sfaccettato giornalista di Radio Radicale Claudio Landi  − pensano che in realtà questo blocco politico potrebbe durare. Difficile che Grillo si trasformi in personaggio più moderato e meno controverso, cosa che peraltro tradirebbe quel 20% di voti che oggi lo segue. Difficile anche che Berlusconi riprenda competitività (ormai la sua grande forza pare tramontata) o apra a una dirigenza diversa da quella attuale, cosa che minerebbe il suo potere in un partito che, come quello di Grillo, è praticamente sua proprietà personale. Improbabile anche che Berlusconi abbia voglia di regalare questa sua cosa a un capo nuovo, che magari farebbe risorgere il partito ma lo allontanerebbe dagli interessi principali della proprietà. Meglio invece cercare di barattare scambi con il partito di maggioranza da una posizione di minoranza, comunque forte.

Però, per quanto questo blocco possa durare, esso non resisterà per sempre. Per prevenire imprevisti, ecco allora la corsa di Renzi verso la complessa riforma elettoral-parlamentare, che cambia le regole del voto e stravolge il Senato. 

Al di là della folla di annunci, Renzi in questi mesi di governo ha prodotto poco di sostanziale. Invece di una semplice riforma elettorale si è imbarcato in un complesso riassesto costituzionale; la burocrazia è stata vituperata ma non trasformata; il controverso cambio nel mercato del lavoro è stato oggetto di battute e proclami ma poi nulla. Probabile che ciò sia avvenuto perché Renzi ha trovato ostacoli da tutte le parti, imbrigliato in un sistema di pesi e contrappesi disegnato proprio poco prima del ’48 per evitare una concentrazione del potere.

Obiettivo della riforma costituzionale quindi è cambiare le regole del gioco, portare a una concentrazione del potere nelle mani di chi governa e metterlo perciò in grado di fare il dovuto. Questo programma per certi versi è simile a quello che sta facendo in Cina Xi Jinping con la sua campagna contro la corruzione. Xi cerca di concentrare il potere per poi avere la forza di fare le riforme necessarie. Allo stesso modo pare agire Renzi, che in questi mesi di assenza di opposizione, più che riformare questo o quello, è sembrato voler prendere in mano le briglie del potere in Italia, per troppo tempo lasciate sul collo di mille cavalli, alcuni in corsa, altri fermi, al passo, oppure semplicemente bolsi.

Qui si fermano le similitudini con la Cina, perché a Pechino Xi ha chiaro cosa vuole fare del suo potere e come vuole riformare il paese − per iniziare, dando più spazio alle imprese private e limitando il peso dello stato nell’economia. Invece non è chiarissimo cosa Renzi abbia in mente per l’Italia e per l’Europa di cui l’Italia è parte.

Inoltre il programma di riforme di Renzi ha bisogno di un mare in bonaccia. La Cina ha dimostrato più volte di saper affrontare e superare crisi mastodontiche, come quella finanziaria asiatica del 1997-98 o quella di Wall Street dieci anni dopo. Non si sa come Renzi uscirebbe oggi invece da un sussulto economico globale o europeo.

Ciò detto, non paiono esserci crisi all’orizzonte. Il timore di una burrasca derivata dall’Ucraina oggi è fugata per le nuove dinamiche che la Russia ha innescato con la Cina, e − in più − Renzi è fortunato, evidentemente, cosa che vale più del giudizio (come si dice in Italia).

Forse davvero i prossimi mesi potrebbero rafforzare Renzi, che potrebbe portare a casa un grande scossone prima che gli italiani si stufino di aspettare. Dopo, vedremo che film Renzi ha deciso di fare vedere all’Italia… a meno che qualcosa cambi o sia già cambiato.

Il riassetto costituzionale porterà più potere a Renzi, ma per questo riassetto c’è bisogno dei voti di Berlusconi. Perché l’ex Cavaliere dovrebbe dargli il suo appoggio oggi per rischiare di essere poi marginalizzato completamente? Questo sarebbe già materia sufficiente per aspettarsi un prossimo futuro di costante instabilità e lotte di posizione, ma a ciò si aggiunge anche un altro elemento.

Renzi lavora con un minuscolo gruppo di persone e non si fida di nessuno. Bene: forse è giusto per tracciare una linea sulla sabbia con il passato. Ma il risultato è che di riflesso nessuno poi si fida di lui. Questo oggettivamente lo espone a imboscate e imprevisti, a tutti i livelli, anche tra chi tiferebbe per lui. Da queste imboscate è protetto, alla fin fine, non tanto dal suo recente 41%, ma dal fatto di sembrare al mondo meglio di Berlusconi e Grillo, i suoi due veri grandi portafortuna e alleati. Se anche solo uno dei due si appannasse, davvero tutta la chimica politica cambierebbe.