La vicenda di Federica Mogherini, il ministro degli Esteri italiano candidato dal premier Matteo Renzi a commissario estero (Pesc) dell’Unione Europea è emblematico delle difficoltà, che avevamo segnalato, di questo governo in campo internazionale e potrebbe essere l’inizio di un profondo sfilacciamento politico.

Evidentemente, contro quello che avevamo ipotizzato e suggerito, la candidatura della Mogherini alla Ue non è stata concordata nei dettagli e offerta all’Europa come segno e pegno di disciplina italiana verso Bruxelles a Berlino. Alla luce delle rimostranze est europee si evince che la Mogherini è stata candidata sic et simpliciter. Allora in quanto tale, visto che non ha un curriculum stellare ed ha invece una storia di simpatie russe e palestinesi, è stata presa per quello che è: una specie di insulto alla Ue, dove Renzi preferisce mandare una signorina di secondo livello invece che un ex premier come D’Alema o Letta. Il tutto per sue alchimie interne.

A questo punto Renzi all’inizio della sua presidenza di turno in Europa è già sconfitto. O la Mogherini non passa, e questo è uno schiaffo aperto all’Italia; oppure passa, ma è dimezzata e questo e uno schiaffo sotto il tavolo. In entrambi i casi l’ex sindaco di Firenze è colpito, e lo è su una questione comunque non fondamentale per l’Italia, perché la politica estera europea conta pochissimo per Bruxelles o per Roma.

Quindi, proprio questo smacco su una storia di poco conto appare sintomo palese di una più larga diffidenza europea e internazionale verso il premier. Ciò è tanto più importante perché era proprio sulla fiducia internazionale che Renzi aveva in questi mesi costruito il suo personaggio, anche alla luce del fatto che nel mondo si ha profonda diffidenza di entrambi i suoi contendenti, Silvio Berlusconi e Beppe Grillo.

Dunque la situazione del premier, pur ancora largamente in testa rispetto ai suoi avversari, non è ottimale e ciò non può essere semplicemente per la Mogherini, pezzo troppo piccolo nella complessa scacchiera internazionale. Il vero problema è la crescente distanza tra quello che l’Europa vuole da Roma e quello che Roma sta facendo.

L’Europa vuole riforme strutturali dell’economia che taglino le spese dello stato, i mille lacci burocratici, che cambino la giustizia, il mercato del lavoro, la giungla delle gilde che a Roma chiamano “ordini professionali”. Renzi invece sta offrendo riforme costituzionali, che saranno importanti e utili ma 1) non sono quello che Bruxelles chiede, e 2) la loro utilità dovrà essere verificata.

Gli uomini del premier insistono che questa in corso è una rivoluzione, un cambiamento strutturale del paese, che porterà a quella concentrazione di poteri necessaria per attuare tutte le richieste di Bruxelles e di più. Benissimo, ma qualcuno lo deve spiegare all’Europa e all’America, e ciò non può essere con frasi smozzicate su twitter o battute in Englitaliano a un vertice. 

Occorrono dossier, serve un lavoro di comunicazione e contatto profondo con i partner europei, cioè ci sarebbe voluto un ministro degli Esteri che tenesse il mondo al passo con le intenzioni di Renzi e i passi dell’Italia.

Certo in Italia questo passaggio è magmatico, pieno di riti quasi iniziatici, ovvi per i naviganti avvezzi al Transatlantico, oscuri più dei misteri orfici per gli estranei. Proprio per questo sarebbe servito un ministro degli Esteri che sappesse cosa e come pensano fuori e che lavorasse per spiegare.

Non è detto che questo lavoro sarebbe risolutivo, vista la distanza di priorità, ma almeno avrebbe avuto l’effetto di far prendere più sul serio Renzi e il suo governo ed evitato lo scivolone Mogherini ed altro.

In Cina, quando negli anni Trenta i comunisti erano assediati, sull’orlo dell’estinzione politica, si affidarono a gente come Zhou Enlai, trilingue con lunghe esperienze all’estero, per parlare e spiegare le arcane alchimie della storia e della politica cinese agli stranieri. Questi stranieri, spesso all’inizio anticomunisti, si rivelarono allora il più grande capitale politico per il Pc nella sua affermazione finale. L’Italia oggi attraversa un periodo non meno difficile, le sue difficoltà di comunicazione sono però maggiori.

Con un italiano, Mario Draghi, a capo della Banca Centrale Europea, e a contatto di gomito con tutte le cancellerie del mondo, difficile dire a Bruxelles che non capisce cosa sta succedendo a Roma. Ci vuole quindi qualcuno di statura e coraggio morale per abbracciare tale compito di comunicazione, e se pure per un’illuminazione sulla via di Damasco Renzi dovesse comprenderlo, non è detto che oggi ci si possa riuscire.

Lo scenario allora è il seguente. Il credito iniziale di Renzi si assottiglierà nei mesi seguenti e le richieste europee si faranno più stringenti e pressanti. Infatti, a torto o a ragione, la Germania pensa che dare flessibilità all’Italia è come dare eroina a un drogato: ha l’effetto di peggiorare, non di migliorare la sua condizione. I recenti scandali dell’Expo di Milano o del Mose a Venezia provano che finanziamenti in più dati all’Italia si trasformano in corruzione e non in crescita. Per affrontare questi problemi la riforma costituzionale è un diversivo o un placebo, ben altre sarebbero le misure da prendere secondo Berlino o Bruxelles.

In questa condizione già debolissima, per molti motivi i conti sono destinati a peggiorare se non precipitare in autunno in Italia. Allora Renzi si troverà di fronte alle seguenti opzioni: 1) attuare una manovra straordinaria, che gli metterà contro il paese; 2) far saltare il tavolo e scommettere su elezioni anticipate, che spostano il problema pur dandogli una sua maggioranza; 3) riuscire a ricattare Bruxelles per una qualche dilazione.

In teoria l’ipotesi 3 è la migliore e anche possibile, dato che l’Italia è troppo grande per finire come la Grecia, cosa che trascinerebbe nel baratro l’euro e l’instabile economia mondiale. In realtà è difficile che Renzi riesca nel ricatto, vista la diffidenza verso Roma e comunque i punti di pressione (il rialzo degli interessi sui buoni del tesoro) che la Ue ha sull’Italia.

Restano quindi le ipotesi 1 e 2, che viste da oggi si equivalgono e che entrambe portano al rischio di un ulteriore sfilacciamento interno del paese e all’indebolimento e forse alla caduta di Renzi.