Cinque mesi. Quando Matteo Renzi divenne primo ministro viaggiava con il vento in poppa delle cancellerie internazionali, stanche di Silvio Berlusconi e dubbiose di Beppe Grillo, i suoi principali avversari politici. Meno di mezz’anno dopo questo credito estero è disperso: anche se non completamente, in larga parte.
Un paio di settimane fa scivolava su una brutta intervista al Financial Times in cui attaccava Mario Draghi sulle riforme, solo per affrettarsi poi a cercar di riparare con un incontro informale prima e dopo del quale diceva che il capo dell’Eurotower ha ragione.
Nei giorni successivi, intorno a ferragosto, il momento sacro dell’anno in cui gli italiani vanno in vacanza, il premier è in una girandola di incontri e viaggi in giro per il paese e dà sfoggio di attivismo. Accusa “gufi” e “professoroni” per le loro analisi preoccupate dell’economia, confondendo, come si faceva in antico, il messaggero con il messaggio.
Subito dopo, quando arriva la notizia che la crescita del Pil della Germania rallenta dello 0,2%, gongola, dicendo che i problemi sono dell’Europa intera e non solo dell’Italia, come se la pagliuzza nell’occhio altrui cancellasse la trave in quello proprio.
Il primo ministro è troppo intelligente per non accorgersi di queste scivolate e non sapere che mentre la riforma del Senato e quella elettorale sono quasi in porto ci sono rischi più grandi che incombono ormai. Purtroppo si è verificato quello che paventavamo da mesi. Il combinato disposto della crescente incomprensione internazionale per l’agenda di Renzi e dell’arrivo della crisi economica globale assediano oggi il governo.
Così, mentre la riforma del Senato e quella elettorale non sono ancora pronte, rendendo più difficile andare alle elezioni anticipate, ora c’è bisogno di misure drastiche, e dolorose per la gente comune, sull’economia. Da qui una serie di contraddizioni, a cui abbiamo già accennato in passato. Se non si agisce sull’economia i conti del paese saltano, ma se ci si muove sui conti crolla, o rischia di crollare, la popolarità del premier peraltro già in calo rispetto ai picchi delle elezioni europee.
La via di uscita potrebbe essere andare alle elezioni, ma senza legge elettorale già approvata il nuovo parlamento potrebbe essere la stessa collezione inconcludente di partiti e correnti di oggi.
Se si andasse a votare Renzi potrebbe avere un gruppo parlamentare più suo: da capo del partito potrebbe fare la sua lista di candidati. Ma in un partito diviso in mille correnti, non c’è garanzia che i suoi compagni di cordata non si scapicollino subito per rottamarlo. Certo Renzi, abilissimo manovratore della politica italiana, può fare ricorso alla sua ampia borsa di trucchi e idee, e senza dubbio lo farà, ma le linee principali davanti a lui sono, ci pare, queste e lo mettono in sostanza con le spalle al muro.

A questo punto, occorre fare un passo indietro. Renzi forse rimane ancora la scommessa meno cattiva e meno complicata per l’Italia in questo momento. L’uomo è determinato, coriaceo e anche dotato di buona volontà e potrebbe avere la forza di rimontare la china. Per fare questo però ha bisogno di due cose.
Primo, deve ripensare completamente il suo approccio con l’estero. Deve far spiegare a persone esperte quello che lui vuole fare dell’Italia e chiedere comprensione e aiuto.
Secondo, deve trovare rapidamente misure che diano respiro ai conti e trovare il modo di raccontarlo in modo convincente alla gente, in attesa del completamento della riforma del Senato ed elettorale.
Qui, quasi ci vergogniamo a riproporre il porto di Taranto, qualcosa che potrebbe dare una spinta ideale e industriale all’Italia a costo zero per le casse statali.
I due passi si tengono per mano, non sono semplici, ma neppure sono impossibili. La cosa difficile forse è per Renzi guardare alla situazione sua e del paese da un altro punto di vista, non affannato dalle lotte di cortile di Roma.
Auguri di cuore, presidente del Consiglio.