Il prossimo appuntamento politico importante in Asia è la visita a fine settembre del presidente cinese Xi Jinping in India.

Il neo primo ministro indiano Narendra Modi, con appena poco più di tre mesi al governo, ha infatti appena ottenuto un’enorme successo politico in Giappone dove il locale premier Shinzo Abe ha promesso oltre 33 miliardi di dollari di investimenti, una cifra colossale, forse il più grande impegno di investimenti straniero dai tempi del piano Marshall, oltre il 2% del Pil!

Xi in India non potrà, per motivi strategici, essere da meno ed è facile attendersi un piano di investimenti cinesi in India grande quanto e più di quello giapponese.

Vuol dire che in circa quattro mesi Modi avrà incassato investimenti stranieri pari a circa il 5% del Pil: denaro nuovo, con alti contenuti industriali e tecnologici, che quindi avrà un’enorme capacità di moltiplicatore sull’economia.

L’effetto di politica interna di questo successo è ancora difficile da calcolare, ma potrebbe portare il 63enne Modi a diventare una specie di nuovo imperatore dell’India.

Questa strategia internazionale, ben più delle sue mosse interne, farà o distruggerà Modi e la sua India.

Come ha fatto Modi? La risposta breve è: con una strategia di politica estera. Questo è quello che è mancato finora al premier italiano Matteo Renzi e forse è il punto di debolezza più vero e profondo del suo piano di governo.

Certo Renzi non è solo in questo. La politica estera in Italia è stata la grande assente degli ultimi decenni. Prima del crollo del muro di Berlino, Roma aveva rinunciato alla politica estera spaccata al suo interno tra fedeltà americana (maggioritaria) e fedeltà sovietica (minoritaria).

Dopo il crollo la Germania, che per certi versi aveva condiviso la sorte italiana di avere delegato la sua politica estera, si diede rapidamente una sua ambiziosa agenda strategica a tutto tondo. L’Italia invece è rimasta intrappolata in mille questioni di lotte interne e da una servitù crescente, nata economica ma diventata anche politica, verso l’Unione Europea. Il punto oggi per Renzi è forse doppio.

C’è una stretta economica, di cui abbiamo parlato, ineludibile, che Renzi non pare essere in grado di governare. Ma c’è anche una mancanza di strategia articolata verso l’estero. La politica estera non è infatti strette di mano sotto i riflettori e passerelle, è lavoro intenso, dettagliato e ingrato, tanto più efficiente quanto lontano dalle luci della stampa.

La partenza della giovane Mogherini verso Bruxelles e il bisogno di nominare ora un nuovo ministro degli Esteri danno a Renzi l’occasione di cominciare a pensare una sua strategia estera. Se il presidente del Consiglio italiano vuole le passerelle, qualcun altro deve lavorare seriamente; altrimenti lui in passerella scivola e cade, come gli è successo spessissimo negli ultimi mesi.

Questa strategia non potrà compensare le strette economiche dell’autunno, che lo potrebbero travolgere. Ma, se ben pensata e ben attuata da uomini di spessore, potrebbe dargli spazio e forza in un momento in cui sta diventando debole e ha bisogno di appoggi stranieri per rafforzarsi all’interno.

La recente copertina dell’Economist, dove il premier italiano appare con il gelato, non è un monito improvviso ma l’esplicitazione finale di una percezione che circolava all’estero da mesi: Renzi lascia perplessi, appare come un ragazzino superficiale. Per questo il premier italiano dovrebbe scrollarsi di dosso l’immagine internazionale di “Renzusconi” che gli si sta ormai come un vestito su misura. Questo non sarà facile né veloce, ma la nomina del nuovo ministro degli Esteri è il primo passo.

Se Renzi, viceversa, sceglierà ancora un giovane senza peso o una persona di apparato, obbedendo alle logiche tutte italiane che lo hanno finora portato per mano, si sarà tolto quell’ossigeno che ora gli serve come non mai per fare quadrare quei conti economici che non tornano.