Da un lato il capo del governo italiano Matteo Renzi giovanilista, oltre che giovane, va in America e il clou del suo viaggio sembra essere l’incontro con i capi dei nuovi media, i padroni di Google, Twitter e Facebook. Dall’altra parte, il capo del maggiore mezzo di comunicazione tradizionale italiano, Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della Sera, si scaglia in un attacco compunto ma molto puntuto contro Renzi. In qualche modo, se nei prossimi mesi cadrà l’uno, il presidente del Consiglio che ama saltare la stampa e messaggiare coi telefonini, o l’altro, il direttore, che elenca ragioni e motivi, forse sarà la vittoria anche dell’uno o dell’altro mezzo, sms contro carta stampata.

E forse sarà vero anche quello che dicono alcuni dei fedelissimi di Renzi, che le bordate dei vecchi paludati come de Bortoli lo aiutano. Tanti lo davano per morto alle Europee e invece Renzi ha avuto un successo totalmente imprevisto. Quello che non piace a de Bortoli, che Renzi sia accentratore, che distribuisca posti a comparse, forse è proprio quello che piace agli italiani innamorati, più o meno coscientemente, dell’idea dell’uomo forte, della partita rubata al novantesimo minuto, del furbo che passa gli esami col massimo dei voti senza studiare. Sarà anche, come dice Rino Formica su queste pagine, che la partita vera è di nuovo quella dell’elezione del presidente, visto che Giorgio Napolitano potrebbe dimettersi all’inizio dell’anno prossimo, prima del suo novantesimo compleanno. Questo potrebbe essere un contenuto importante del misterioso patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi.

I due potrebbero avere convenienza infatti a scegliere prima un presidente che li garantisca e di cui si fidano, e poi andare alle elezioni per cercare di sbloccare una situazione fossilizzata. Qui però c’è forse il problema dei problemi. La riforma costituzionale e quella elettorale sono irrisolte e dopo mesi in cui sembrava una questione del tipo “O Roma o morte” ora l’attenzione è tutta spostata sul lavoro. In effetti è giusto così, l’economia è ben più importante e urgente di astruse vicende costituzionali, e ciò prova che Renzi riesce a cambiare idea. Ma ciò non modifica, anzi complica, l’agenda di Renzi per la sua stessa sopravvivenza politica.

Renzi è assediato da una recessione che non si aspettava, anche perché l’economia non è nelle sue corde. Ma lui può restare al governo solo se non ha l’opposizione europea e internazionale, la quale è interessata a una sola cosa: che l’economia italiana vada meglio. Qui ancora una carta difficile ma convincente è quella della riforma del lavoro. Se il premier la fa e l’economia dà segni di ripresa, ai poteri forti stranieri non interessa altro. L’Italia è notoriamente incomprensibile, ingovernabile; se Renzi fa ripartire la crescita del Pil e dà qualche rassicurazione sul debito, ciò basta. Ma la riforma del lavoro significa anche milioni di licenziamenti, veri o possibili.

Milioni di famiglie che prima si sentivano al sicuro e che dopo perderanno questa certezza, ergo milioni di possibili voti in meno alle prossime elezioni. Certo la nuova legge sul lavoro significherà anche milioni di nuovi posti per i giovani, e quindi nuovo sostegno, come è successo con le riforme di Cameron in Gran Bretagna. Ma sarà davvero così in Italia? In Inghilterra i ragazzi a 18 anni escono di casa e se sono senza lavoro è un dramma vero. In Italia non si esce da casa mai, e il dramma vero è se i genitori perdono il posto, se la pensione dei nonni si assottiglia… tutte cose che hanno un impatto immediato sulla vita del giovane sì disoccupato ma anche, finora, con l’esistenza assicurata. La riforma del lavoro di Renzi, sacrosanta, va a colpire questo fenomeno sociale che si è consolidato da decenni e che ha radici profonde nella cultura familistica italiana. Come andrà a prendere i voti dopo?

Forse per questo Renzi pensava a una sequenza diversa: riforma costituzionale/elettorale prima, voto e poi riforme strutturali dell’economia, a cominciare dal lavoro. Il mondo però non è interessato alla tempistica interna di Renzi o alla sua sopravvivenza politica, né lui si è dato peraltro grande cura di spiegare la situazione interna. Quindi oggi deve non semplicemente camminare sul filo, ma correrci. Deve fare una riforma del lavoro che non sia troppo impopolare (e gli conservi i voti) e poi riprendere a marce forzate la sua riforma costituzionale per arrivare alle elezioni con un sistema che gli permetta di governare più tranquillamente, e allo stesso tempo deve pensare alla spada di Damocle dell’elezione del presidente. Tutto in pochi mesi. Per questo Renzi dovrebbe avere tutto l’aiuto possibile e l’opposizione, piccola o grande che sia, di de Bortoli certo non lo incoraggia. Sulla carta quindi le probabilità sono che non ce la faccia, che in uno qualunque dei passi successivi inciampi e cada, portandosi mezza Italia con lui.