Liste di nomi, numeri, calcoli cabalistici, pressioni… Questo è quanto riportano le cronache italiane in queste ore, quando il parlamento è al centro di un doppio uragano senza precedenti, la chiusura di un’epocale legge elettorale e la scelta, altrettanto epocale, di un nuovo presidente della Repubblica.

La politica, democratica e non, è fatta di questo. Per riuscire a fare qualcosa bisogna prima gestire la gente (yao zuo shi, yao xian zuo ren), dice una massima cinese. In ciò Matteo Renzi sta provando di essere un maestro. Non è chiaro in queste ore cosa possa uscire dall’una o dall’altra urna ed è possibile, anzi probabile, che dall’una e dall’altra parte escano rospi immangiabili che travolgono per primo proprio Renzi.



Ma il fatto che il presidente del Consiglio italiano riesca a tenere testa a questo doppio uragano gli assegna già un posto nella storia.

Grande artefice almeno di un primo passaggio fondamentale, la definizione del percorso attraverso i regolamenti parlamentari per accelerare il voto e saltare l’ostruzionismo, è stato Stefano Esposito, senatore Pd autore del “super-canguro”, la soluzione parlamentare che ha evitato la guerriglia degli emendamenti.



L’onorevole Esposito è stato per anni defilato, ma è una vecchia volpe del Parlamento, quindi per definizione da rottamare. Eppure è lui che sta traghettando il delicatissimo avanzare della legge elettorale, mentre l’anno scorso la giovane Boschi l’aveva fatta praticamente quasi schiantare sugli scogli. In realtà prima che Esposito prendesse il timone, la gestione era del presidente Napolitano, l’unico in grado di sconfiggere la maestria sul terreno di Calderoli, leghista e antico maestro di pratiche parlamentari. 

Da lontano è impossibile capire l’alchimia proposta dalla nuova legge elettorale tra preferenze dirette, voti di lista, voti di partito. Sembra il frutto di un ricamo che assomiglia al jerrymandering (letteralmente: prendere le forme — bizzarre — di una salamandra) in parti della Gran Bretagna o degli Stati Uniti, quando i confini delle circoscrizioni elettorali sono spostati, allungati e strizzati senza nessuna base geografica o demografica ma solo per obbedire ad alcuni specifici auspicati risultati elettorali. Il jerrymandering è nient’altro che l’adattamento a un sistema di circoscrizioni elettorali di un principio basilare della politica: primo, sopravvivere, primum vivere.



“Salamandrizzare” non è democrazia al suo meglio, ma è nella storia della democrazia e quindi alla fine va bene, perché comunque, specialmente in Italia oggi, rappresenta un passo avanti rispetto a uno stallo disperante.

Per il presidente ancora non si sa se ci sarà un nome super-canguro che supererà la ridda di candidature incrociate. Servirebbe un tessitore attento, uno Stefano Esposito del Parlamento. Oggi le cronache raccontano che i protagonisti principali di queste giornate di conta dei voti sono Denis Verdini (Forza Italia) e Luca Lotti (Pd). Da lontano, senza avere mai incontrato né l’uno né l’altro, paiono troppo e troppo poco per la bisogna di Renzi.

Verdini è troppo antico, e Lotti troppo nuovo. Così sulla carta paiono naturalmente incapaci di raccogliere consensi tra il migliaio che voteranno a scrutinio segreto e coordinare quei votanti (e le promesse che saranno date a ciascuno di loro) con le esigenze europee e americane (convitati di pietra preoccupatissimi per le incerte sorti italiane). Tali mediazioni poi dovranno essere avvolte e svolte con il rocchetto dei desideri dei grandi elettori, i Renzi, i Berlusconi, i Grillo, i Bersani eccetera.

La confusione totale di notizie sul presidente di questi giorni certamente dipende dalle tantissime incertezze della Penisola. Però forse dipende anche dal fatto che Verdini e Lotti hanno sulle spalle un compito che non si confà a loro.

Inoltre, l’incrocio sul presidente può essere assai più difficile del super-canguro di Esposito. Ma forse Verdini e Lotti sono solo parte di un altro gioco. In realtà la ricerca del presidente è tutta sulle spalle di Renzi: solo lui ha il peso politico per mediare. Solo lui può dare le risposte, e fare le domande, sapendo poi che non è solo lui che decide.

Se è così, se c’è questa unica centralità, come nell’occhio del ciclone, dove c’è calma e dove la tromba dei venti va e viene, allora per il presidente bisognerà solo aspettare l’ultimo minuto e forse anche i supplementari. Infatti la scelta del presidente, specialmente oggi, farà scontenti molti, e per minimizzare tale numero di scontenti bisognerà portare i veti incrociati all’esasperazione, le minacce quasi alla guerra… per poi trovare la pace.

Ma qui il problema principale, come con la salamandra delle circoscrizioni, è la sopravvivenza politica del grande elettore Renzi. In primissimo luogo il presidente deve tutelare Renzi, e questo è istituzionalmente impossibile, come abbiamo scritto in precedenza.

La doppia domanda allora è: Renzi può eleggere un presidente che lo tuteli non per garanzie istituzionali, ma sulla base di una fiducia personale, cioè un suo amico, un suo devoto? E poi: può farlo accettare a un Parlamento dove la maggior parte non gli sono amici? Quanto Renzi può concedere in termini di distanza di amicizia e sentirsi ancora tutelato?

Dalla risposta a queste domande così personali, frutto cioè di una personalizzazione della politica, si avrà la risposta sulla scelta del prossimo presidente della Repubblica italiana.