La vera domanda di inizio anno che qui, dall’altra parte del mondo, ci si pone rispetto all’Italia è: sarà mantenuta la recente media italiana di un primo ministro all’anno? Cioè: il drago onnivoro della politica romana divorerà anche Matteo Renzi nel 2015?

Da così lontano, con un’enorme possibilità di errore, ciò pare tutt’altro che impossibile. Questo drago ha macinato come un tritacarne personaggi che un tempo apparivano enormi, e quindi potrebbe fare altrettanto con l’attuale premier. 

Egli, come avevamo visto nella prima metà dell’anno, ha sprecato l’iniziale attitudine positiva della comunità internazionale; è apparso vacuo nei sei mesi di presidenza di turno dell’Unione europea; si è dimostrato finora inconcludente sia nel rilancio dell’economia che nelle riforme istituzionali.

Le colpe di ciò certo non sono tutte sue. Renzi sperava in un rilancio dell’economia globale e che la mitraglia di annunci sui social network avrebbero sbaragliato l’opposizione palese o latente in parlamento e nella burocrazia.

Non è andata così. All’estero il suo fiuto acutissimo per la politica interna, che lo ha portato dov’è, non funziona. Lì ci sono altre regole e altre logiche. Non ha dato il giusto peso alla tensione montante di Usa ed Europa contro la Russia, e non ha colto a pieno l’insoddisfazione crescente del resto dell’Europa verso un’Italia che promette montagne e poi però produce solo noccioline.

Inoltre, in patria, l’opposizione ha colto che la raffica di annunci si sarebbe presto ritorta contro l’annunciatore. Ciò sarebbe avvenuto — come è stato — una volta che con il passare dei mesi i tanti impegni sarebbero rimasti inevasi anche se solo in parte.

In tali condizioni il 2015 potrebbe essere quindi il momento per fare venire al pettine i nodi di Renzi.

L’economia interna dovrebbe non riprendersi nei primi tre mesi dell’anno, piuttosto potrebbe facilmente peggiorare. Questo creerà tensioni interne, ovvie, e internazionali. 

Oggi il programma della Banca Centrale Europea, guidata dall’italiano Mario Draghi, per l’acquisto di buoni del tesoro nazionali ha ampiamente diminuito le possibilità di sussulti finanziari continentali. Ma alcuni politici tedeschi hanno portato la decisione innanzi alla Corte di giustizia europea, dicendo che ciò equivale a un intervento nelle politiche fiscali interne dei singoli stati. La citazione dovrebbe essere respinta, ma vari fattori potrebbero comunque far pendere diversamente l’ago della bilancia europea.

Intanto il nuovo presidente della Repubblica, che succederà a Napolitano, di cui si aspettano le dimissioni il 31 gennaio, è un punto di domanda grande quanto una casa. La scelta del nuovo inquilino del Quirinale coinciderà con le elezioni in Grecia, dove potrebbe vincere la sinistra anti-europea. La concomitanza dei due eventi mette l’Italia nell’occhio del ciclone, vista che la sua economia è molto più grande di quella greca. 

Sono due forti elementi di incertezza, mentre nel frattempo l’opposizione cresce.

Cresce il leghista Matteo Salvini, che mira a conquistare il sud dopo essersi affermato al Nord, e potrebbe diventare il leader della nuova destra post-berlusconiana. Cresce l’astensionismo, come hanno dimostrato le elezioni in Emilia-Romagna, prova del profondo distacco tra il pubblico e la classe politica. Cresce il brontolio interno nel Pd (il partito di Renzi) insoddisfatto del suo leader in mille aspetti. Nell’inefficacia di Roma crescono infine sindaci e amministratori locali, come crebbe a suo tempo Renzi, tutti pronti per essere gli eventuali rottamatori del rottamatore Renzi.

Ciò detto, Renzi non è spacciato. Dopo mesi di estenuanti e povere battaglie sulle riforme costituzionali il premier ha saputo spostarsi sulla riforma del lavoro, cosa che premeva a Bruxelles e ai mercati internazionali. Il risultato finora ottenuto è piccolo, in ritardo, e non ha cambiato di granché il quadro interno. Ma dimostra che Renzi è capace di arretrare e ripensare, e questo pare oggi la sua esigenza più grande. Forse questo dovrebbe essere il suo buon proposito di inizio anno.

Quale re-inizio dunque? Da lontano, ancora una volta, pare che dovrebbe essere sulla politica internazionale. Lì, con l’incontro andato a male alla fine di marzo con il presidente americano Barack Obama, ha cominciato a slabbrarsi il governo di Renzi, da lì quindi forse andrebbero ripresi i fili. Oggi alla Farnesina c’è il solido Paolo Gentiloni che potrebbe aiutare a coordinare un attento riesame e un tentativo di riannodare i tanti fili spezzati all’estero. 

Ma non può essere una cosa estemporanea, personale. Deve essere di struttura che parla a strutture estere. Infatti, i paesi vogliono sapere quali altri paesi sono affidabili o meno e fino a che punto; non basta la bravura o l’affidabilità di un leader, anzi.

La prima trappola strutturale, come abbiamo visto, è appunto l’elezione del nuovo capo dello Stato, dopodiché la tentazione tattica potrebbe essere di affrontare le mille sfide del paese con nuove elezioni parlamentari. Esse azzererebbero la riforma costituzionale, ma forse ne vale la pena, dato che questa è comunque un pasticcio, e qualunque fosse il risultato, Renzi avrebbe un gruppo parlamentare suo che oggi non ha, visto che le liste di deputati e senatori PD attualmente eletti sono state fatte dal suo vecchio avversario di partito Bersani. 

Sarebbe un azzardo, perché nessuno è sicuro di un esito delle urne, ma Renzi è giocatore d’azzardo, e potrebbe preferire un giro di dadi alla morte di un governo difficilissimo. Solo che questo, di nuovo, ci riporta all’estero. In queste condizioni un ritorno alle urne dopo circa due anni, con un nuovo presidente della Repubblica e con un premier al governo solo da un annetto, potrebbe far saltare ogni conto finanziario e spingere tedeschi e altri con loro all’idea di mandare al macello il programma di Draghi e far pensare concretamente a Usa e Ue a come isolare il male italiano dal resto dell’Europa. 

Di nuovo, ciò potrebbe essere evitato se Renzi spiegasse in maniera comprensibile a partner europei e atlantici la situazione del suo governo e dell’Italia. Questo non è avvenuto finora ed è probabile che continui a non succedere.

Con tante palle in aria e tanti venti contrari le possibilità che una o più palle cadano a terra sono altissime, e che Renzi sia trascinato nella caduta è altrettanto probabile. In ciò il ruolo del prossimo presidente diventa fondamentale e questi, chiunque esso sia, pur eletto da Renzi potrebbe essere il notaio della fine politica dell’attuale premier. Di contro, c’è la stamina, l’energia e la capacità di ragionare di Renzi. Basteranno a salvargli la vita e a raddrizzare il paese?