Per un breve momento, qualche settimana, forse solo qualche giorno, i 5 Stelle erano apparsi moderati, ragionevoli, presidenziali insomma, pronti a prendere le redini del paese in caso di vittoria alle elezioni. Questo era accaduto con la recente ascesa pubblica nei media di Luigi Di Maio.
Giovanissimo, faccia scura da Masaniello, figlio di padre di estrema destra, ma incravattato, con i congiuntivi sempre a posto, le frasi complesse e lineari, e sempre calmo, mai stizzoso o arrogante, Di Maio stava cambiando l’impressione dei 5 Stelle.
Per sfortuna sua e del movimento, dietro Di Maio c’è sempre Beppe Grillo che nel momento migliore di M5s è esploso come una bomba carta: non facendo danni ma creando enorme panico intorno a sé. Grillo ha mostrato che, sia in fondo vero o falso, Di Maio è solo una maschera, una mano di vernice educata, ma l’anima e il motore del movimento è sempre l’estremismo rabbioso del barbuto Grillo.
L’episodio rivelatore è l’uscita di Grillo contro il deputato Pd Michele Anzaldi, renziano doc, accusato di essere peggio di Goebbels, il gerarca nazista capo della propaganda di Hitler.
Anzaldi è colpevole di avere detto in una breve intervista al Corriere della Sera che Rai3 (rete ufficialmente di lealtà Pd) tratta il premier Matteo Renzi peggio delle altre due reti, che al Pd non sono leali. In ciò c’era un casus belli, le interviste due settimane di fila su Rai3 a Di Maio e al suo collega Di Battista.
Certo, capiamo da lontano, la questione è molto delicata, perché ha come retroterra la spinosa questione ancora aperta, dopo tante polemiche, della gestione della Rai come servizio pubblico e quindi pesata con il bilancino tra presenza di destra e sinistra, governo e opposizione. Essa sottintende che nell’antica spartizione di pani, poteri e pesci della Rai, la terza rete andava al Pd. Oggi però, la terza rete è di fatto governata da quella parte del Pd ostile a Renzi, quindi paradossalmente il premier si trova senza rete.
Certo, si può aprire una discussione sulla spartizione, che non è giusta e che la Rai andrebbe privatizzata o gestita diversamente, ma il paradosso nella situazione attuale esiste e Anzaldi lo ha sollevato anche con discrezione, dicendo che altre due reti sono più filo-Pd di Rai3.
Ma forse tutto questo era uno scivolone, l’errore è stato quello di toccare una faccenda così sporca e intrattabile che, comunque si faccia, ci si sporca. I M5s avrebbero potuto lamentarsi in toni contenuti e lucrare di fatto su uno dei tanti problemi ancora aperti del governo, la Rai, la quale non è stata riformata perché non ce n’è stato il tempo, perché forse l’accentratore Renzi se ne vuole occupare di persona e non ne ha avuto il modo.
In altri termini la polemica sulla Rai rivela un problema grande di gestione da parte del premier, di eccesso di accentramento. Il capo del governo deve decidersi: se si occupa di riforma costituzionale non può occuparsi di Rai, e viceversa; e quello di cui non si occupa lo deve delegare e si deve fidare; tanto che, faccia o non faccia, direttamente o indirettamente, tutto ricade su di lui. E infatti, se Renzi non fa, si ritrova all’inseguimento, sempre in ritardo, sempre in errore… quindi destinato prima o poi a perdere.
Il fatto è che in M5s non hanno capito questo e hanno reagito con accuse e urla totalmente sproporzionate, incoerenti, che non andavano al problema. Per essere diretti (ci perdonino, ma siamo lontani e non capiamo) il M5s si è dimostrato stupido e violento, ha screditato di colpo tutto quello che Di Maio aveva costruito nei mesi passati e ha dato un aiuto enorme a Renzi. Sembra quasi che Anzaldi, conoscendo i “suoi”, abbia agitato lo straccio rosso davanti al toro pentastellato, il quale ha reagito senza pensare, com’è sua natura.
Ciò riporta alla questione principale. Nonostante tutti i suoi difetti, Renzi oggi è il più astuto e fortunato del mazzo. Ma perché la sua fortuna duri, dovrebbe essere anche così astuto da cambiare alcuni suoi metodi di lavoro. Perché nonostante tutto prima o poi a rinsavire potrebbero essere anche i suoi avversari.