Quando l’ex presidente cinese Jiang Zemin venne proiettato inaspettatamente da Shanghai ai vertici del potere, non conosceva gli oscuri meccanismi di Pechino e ne era naturalmente spaventato. Per un paio di anni cercò di destreggiarsi alla meno peggio fin quando trovò aiuto improvviso in Zeng Qinghong.
Figlio dell’aristocrazia rossa ma anche con un’esperienza da scugnizzo (i suoi lo abbandonarono per alcuni anni alla strada nella fuga da nazionalisti e giapponesi), addentro alle macchinazioni dei corridoi di Zhongnanhai, la Casa Bianca cinese, Zeng per anni fu il risolutore dei problemi impossibili. Molti ritengono che la resistenza al potere di Jiang si deve forse per metà all’abilità manovriera di Zeng.
Il premier Matteo Renzi forse ha oggi trovato il suo Zeng Qinghong. In pochi giorni, senza complicate manovre parlamentari o di partito, senza apocalittiche contrapposizioni di schieramenti, Renzi ha risolto due problemi che lo assillavano e che parevano impossibili. Ha “domato” l’opposizione di Rai3, apparendo poi anche “buono”, conciliante, tollerante; e ha eliminato l’imbarazzo ormai quotidiano causato dal sindaco di Roma Ignazio Marino, che di fatto si è dimesso (“non ci ripenso”, ha annunciato).
Dietro entrambi i successi c’è un deputato finora oscuro ma con lunga esperienza romana, Michele Anzaldi.
Anzaldi nelle settimane scorse ha espresso quello che nessuno tra i renziani osava dire: che appunto la terza rete Rai era paradossalmente (visto che le strette norme della divisione del potere tv la assegnano al Pd) il bastione dell’opposizione al Pd. Ciò ha seminato il panico, ma ha anche steso un tappeto rosso per il premier che si è così presentato da paciere.
Su Marino, precipitato in un circolo vizioso di gaffes, piccole bugie, assenze, Anzaldi era stato il primo a dare l’allarme, ed è stato anche quello che tagliando le mille obiezioni interne ha dato il colpo finale. Ciò in realtà elimina un problema che se si fosse trascinato ancora più a lungo avrebbe potuto rovinare l’anno santo (che inizia l’8 dicembre) e affossare Renzi.
Questa presenza però prova anche due cose. Da un lato intorno al premier non ci sono persone in grado di manovrare nel palazzo senza andare allo scontro duro e puro a colpi di maggioranza parlamentare o di partito. Troppo faticoso per risultati che vanno a diminuire ed è un rischio di logoramento immenso per il premier. Gli ignavi “yes men” del premier gli sono quindi più di danno che di aiuto.
D’altro canto dimostra che l’Italia e il mondo hanno metodi più sottili e innocui per portare a casa risultati maggiori, basta conoscerli e saperli usare. Questi però non si imparano in un istante e soprattutto, se Renzi è bravo, non lo sono i suoi vicinissimi.
Il problema per il premier è: basterà un solo Anzaldi a rendergli più facile la vita? Né può fidarsi dei Verdini o degli altri transfughi solo affamati di potere e contorni. Senza uomini come Anzaldi la sola aperta furia devastatrice di Renzi in parlamento potrebbe condannarlo.