L’obiettivo del premier italiano Matteo Renzi è vincere le amministrative della primavera 2016. Se vince resta alla guida del partito, le riforme costituzionali possono riprendere vigore e le elezioni politiche si possono con tranquillità prevedere per la scadenza naturale, il 2018. Se invece perde, nulla è più certo. Il suo partito, il Pd, potrebbe coagularsi e rovesciarlo, le riforme costituzionali potrebbero arenarsi o prendere altre direzioni.
Questa prospettiva oggi da lontano appare probabile. Oltre all’ormai scontata marea di astensioni, infatti, le elezioni che sceglieranno i sindaci delle maggiori città italiane sembra che si stiano già trasformando in una specie di referendum a favore o contro Renzi.
L’Italia delle faide campanilistiche, dei derby calcistici esasperati da mors tua vita mea, ha appena messo da parte le feroci polemiche pro o contro Berlusconi per affannarsi in nuove polemiche pro o contro Renzi.
In questa nuova posizione di catalizzatore di odi e amori esasperati il premier ha qualche vantaggio e molti svantaggi rispetto al suo controverso predecessore. I vantaggi sono che non fa affari con gente proibita, come Putin o Gheddafi, soci del Cavaliere. Questo non incrina rapporti internazionali e quindi non gli attira pericolose ire straniere. Non ha conflitti di interesse, è dalla parte giusta della barricata, leggermente a sinistra, il che non guasta per la cultura radical-chic italiana; è giovane e ha la parlantina pronta.
Contro di sé ha la mancanza di un impero economico che potrebbe finanziargli il partito, e ha preso il partito di slancio, senza avere una squadra. O meglio: nella squadra che ha, pochissime sono persone di peso e di carattere. Questo, più il protagonismo, lo porta a essere solo al vertice, una posizione molto pericolosa. Infatti se non ha nemici all’estero (già un vantaggio rispetto a certe gaffe di inizio mandato), non ha neppure alleati forti, gente che si batterebbe per mantenerlo in vita. Il suo partito mal lo sopporta, perché è vero che è finalmente al governo grazie a lui, ma è anche vero che non ha prospettive. La maggior parte dei suoi esponenti sa che sarà rottamata dopo il 2018 se non prima.
Così, più si avvicina la scadenza elettorale più aumentano le tentazioni di tradirlo per provare la sorte da soli; in ogni caso non hanno niente da perdere. E le amministrative del 2016 potrebbero essere una buona occasione per tagliargli l’erba sotto i piedi, trasformando il voto in una specie di referendum pro o contro Renzi.
Le truppe schierate contro sono un’infinità: c’è una gran parte dei votanti del suo partito, che lo considera poco di sinistra; ci sono i militanti del M5s, ci sono quelli di Salvini e una parte della destra. A suo favore ha il fatto che in un’elezione politica, per la presidenza del Consiglio, egli appare oggi molto più credibile di un candidato del M5s. Tutti i grillini appaiono ancora fermi agli insulti da avanspettacolo, quando dovrebbero offrire argomenti. Ed è più potabile della destra che si presenta tracotante e maleducata, sostenitrice delle posizioni neo-zariste di Putin quasi come ieri ammiccava ai fasti prussiani.
Ma questi vantaggi forse conteranno poco là dove né lui né i sui avversari sono direttamente in lizza e dove il discrimine è la scelta del candidato sindaco. Qui l’ex sindaco Renzi paradossalmente non ha uomini suoi da proporre.
Gli va male se eleggono gli avversari, ma gli potrebbe andare anche peggio se eleggono gli uomini del suo partito. Bassolino a Napoli o Fassino a Torino potrebbero usare la loro base municipale per montare attacchi poderosi alla guida del partito, e queste città pesano più di Firenze, da dove è partito Renzi. In più Roma o Milano hanno candidati che non sono di “sinistra”, vedi Sala o Marchini, ma sono espressioni di una nuova unità tra destra e sinistra, cosa che potrebbe gonfiare i consensi dei M5s.
In questo senso le elezioni di primavera sono quasi una sconfitta annunciata per Renzi: perde se i candidati del suo partito perdono, e perde se gli uomini che appoggia vincono, perché in un modo o nell’altro non gli “appartengono”, sono avversari come Bassolino o di destra e sinistra come Marchini (naturalmente si può anche dire esattamente il contrario: se Marchini vince, comunque è di Renzi, e Bassolino, che vinca o perda, non tocca in alcun modo il governo Renzi. Quindi sarebbe una vittoria annunciata).
Perciò l’unica vittoria vera su cui può contare è influenzare il messaggio che uscirà dalle urne. Per questo sembrano importanti e forse sono solo casuali le nuove nomine alla direzione dei notiziari Rai e a Repubblica, corazzata della sinistra. Cioè Renzi si è finalmente accorto che non può guidare l’opinione pubblica e il cruciale 10-20% di votanti incerti, che in un sistema maggioritario danno la vittoria a destra o a sinistra, con conferenze stampa più o meno estemporanee o cicalecci (la traduzione italiana di “tweet”).
Di certo ogni scelta ha i suoi rischi, e anche quella di farsi seguire da una parte della stampa ha i suoi. I pretoriani dell’informazione possono essere pericolosi se traditori, ma anche controproducenti se troppo fedeli. L’informazione non dà effetti meccanici, e se un giornale di carta o video smette di essere interessante semplicemente non viene più guardato o letto. A un certo punto Berlusconi controllava le reti Rai e Mediaset e ciò non gli impedì di essere battuto da Prodi.
Allora la sfida, forse, da qui a dopo le elezioni non sarà tanto l’esito del voto, ma capire come Renzi e i suoi avversari, dentro e fuori il partito, navigheranno nel nuovo mare disegnato dall’informazione. Questo forse più di ogni cosa determinerà se Renzi sarà ancora premier nella seconda metà del 2016.