Matteo Renzi con l’elezione del presidente della Repubblica è riuscito in un compito che appariva impossibile e che è di fatto sfuggito alla sinistra italiana per circa 20 anni: ha sconfitto Silvio Berlusconi ed è rimasto padrone del partito. Romano Prodi per la verità prima di lui aveva battuto il Cavaliere, ma subito dopo il partito gli era franato intorno diviso dalle ambizioni in contrasto.



Stavolta è diverso. La vittoria non è stata raggiunta da un coacervo attaccaticcio di forze in cui ciascuna pensava di essere maggiore del tutto, ma prendendo in mano il partito e tenendolo poi stretto per la gola.

Certo, questo non esclude che le celebri divisioni interne del Partito democratico prima o poi esplodano, ma per ora questo incubo pare essersi allontanato: Renzi è saldamente capo della maggioranza del parlamento e quindi anche l’orizzonte delle elezioni, come molti politici italiani hanno rilevato, si è allontanato.



Questo riporta l’Italia a 20 anni fa: oggi come allora il Paese è senza una destra. Ora le condizioni sono migliori. La destra non è stata sconfitta per via giudiziaria (mezzo sempre antipatico per una sconfitta politica e in particolare in un paese democratico) ma in un chiaro scontro politico. Ma questa vittoria politica, come è stato già rilevato anche su queste pagine, è avvenuta trasformando la natura del partito.

I leader del Pd di oggi sono figli di Moro e Sturzo, non di Togliatti e Gramsci. La Boschi cita Fanfani come suo punto di riferimento, non Pajetta. Sergio Mattarella, eletto da Renzi, arriva dopo Ciampi e Napolitano, due presidenti fuori dalla tradizione democristiana, ed è quasi figlio puro di Sturzo e Moro. Inoltre i punti di riferimenti politici internazionali sono anche quelli della vecchia Dc, America e Europa, non Russia o chissà chi altri.



Ciò crea un doppio, profondo problema per la destra divisa in quattro tronconi (Berlusconi, Alfano, Fitto e Salvini) pronti poi a spezzarsi ancora: è senza storia e senza riferimenti internazionali. Per i riferimenti internazionali c’è un paradosso: quello che faceva il vecchio Pci — guardare a Mosca —  oggi lo fa la nuova, divisa destra italiana!

Ci pare che ci siano due ordini di problemi nel ricostruire una destra in Italia. Senza una destra finisce l’alternanza e quindi il senso ultimo di un sistema democratico, che esige strutturalmente il rischio che l’altra parte vada prima o poi al potere.

Da qui si apre un mondo di nuove sfide. La prima e quasi più banale è quella pratica. Berlusconi è padrone del partito, lo ha costruito e finanziato come un’impresa di famiglia, Alfano e Fitto si sono spaccati dopo il voto, in caso di elezioni è probabile che siano senza una base, e senza fondi.

Il caso di Matteo Salvini è leggermente diverso: ha una base nella Lega, ma anche lì le radici sono deboli, non sono scese mai sotto Firenze e per trovare credito oltre la Linea gotica bisognerebbe negare 20 anni di storia leghista, di razzismo e di retorica anti meridionale… cosa che indebolirebbe la Lega al nord, dove è forte. Come rafforzarsi dove si è deboli, cioè al sud, senza minacciare dove si è forti, al nord? In più neanche al nord la Lega è una forza assoluta se non in alcune sacche di territorio. Difficile capire come con queste forze Salvini pensi di uscire da questo groviglio di paradossi.

Oltre alla tattica politica, che dalla Cina è difficile da capire, c’è poi il vuoto teorico e internazionale. Nessuno resiste senza storia. La Lega la storia se l’era inventata ispirandosi a una mitica Lega Lombarda. Berlusconi stesso all’inizio si presentava come l’ideale erede dell’Italia degli anni 5 e 60. Oggi che la Lega Lombarda non funziona più e la tradizione nobile degli anni 60 è stata presa da Renzi, a che storia pensano i quattro tronconi?

Né c’è una situazione migliore a livello internazionale. Da Berlusconi a Salvini — attratti forse dai rubli e certo da un anti europeismo e anti americanismo puerile — la destra sembra ipnotizzata da Putin. Ma questo significherebbe uno stravolgimento internazionale. Un partito di destra, conservatore per natura, non può essere che filo-europeo e filo-americano. Pochi a destra però oggi sembrano convinti di questo.

La domanda è allora: l’Italia ha ripreso la centralità della Dc (oggi con il nome Pd) così come a Tokyo dopo un interregno di qualche anno i vecchi Liberal democratici, padroni del paese dalla fine della guerra, sono tornati al potere e governano sovrani quasi assoluti? Forse è una passione antica per i signori. Del resto i comuni italiani del XII e XIII secolo dallo statuto repubblicano sono presto scivolati nelle signorie. Il destino dell’Italia è allora questo? Quello della signoria di un partito?

Questo era tra l’altro il sogno sfuggito a Berlusconi, per mille motivi interni e internazionali. Dunque eccoci di nuovo a Berlusconi, l’uomo che venti anni fa salvò la destra e ora la tiene in ostaggio. Entrato in politica anche per salvare i suoi interessi, oggi si ritrova nella stessa posizione di due decenni fa. Padrone della struttura e dei mezzi di comunicazione del partito, sa che senza il partito anche i suoi interessi potrebbero sciogliersi. Nel frattempo il suo impero si è diversificato. La potenza delle Tv ha perso punti sotto l’attacco di internet e delle Tv via cavo, terreni dove Berlusconi non ha saputo intervenire. Si è allargato alla finanza, uno spazio dove il favore di Roma e quello di Bruxelles sono fondamentali.

Tenendo la destra sotto scacco, Berlusconi ha un punto di leva nei confronti di Renzi a cui può chiedere tutela in cambio di paletti da mettere ai compagni di destra per ricostruire una vera opposizione. È qui il vero snodo della politica di destra italiana? Berlusconi, 20 anni fa salvatore della destra italiana, è diventato oggi il più grande nemico della destra? Come fa la destra a liberarsi da Berlusconi e dai suoi interessi che confondono la politica?

Forse queste sono le maggiori domande di lungo termine a Roma in questo momento politico. Sono anche quelle che più interrogano gli osservatori stranieri.