La nuova legge sulla Rai, da approvare in Parlamento in questi giorni, non riguarda semplicemente le telecomunicazioni e l’informazione in Italia. Essa è, dopo e più dell’elezione del presidente Sergio Mattarella senza i voti di Silvio Berlusconi, la pietra tombale sul ventennio della seconda repubblica.
Berlusconi di fatto entrò in politica anche per salvare lo spazio delle sue aziende contro la concorrenza della Rai. Infatti, la Rai aveva limiti nella raccolta pubblicitaria perché riceve il canone. La cosa portò in certi periodi Mediaset ad avere l’80% del mercato pubblicitario italiano, pur avendo solo meno del 50% degli ascolti televisivi.
Questo fiume di denaro che il Cavaliere usava anche per la sua politica avrebbe potuto essere fermato con una privatizzazione della Rai. Essa, seppure non semplice, non venne davvero mai affrontata dai governi di sinistra che si intervallarono a Berlusconi.
La privatizzazione della Rai, forse più che l’annosa questione del conflitto di interessi, avrebbe potuto cambiare le regole del gioco politico nel paese ma per motivi a noi misteriosi non venne mai davvero affrontata. Oggi la nuova legge anche se non privatizza la tv di stato promette di cambiarne profondamente le regole di gestione.
Certo oggi il panorama dell’informazione in Italia e nel mondo è molto diverso da venti anni fa. Sky tv di Rupert Murdoch e il digitale terrestre hanno sconvolto il panorama del duopolio televisivo. Inoltre la crescita dei nuovi media, da Internet in generale ai nuovi servizi su Facebook, Twitter eccetera, stanno togliendo centralità alla comunicazione televisiva.
In ciò il cambio di gestione della legge sulla Rai potrebbe infierire un altro colpo durissimo all’impero industrial-politico del Cavaliere.
Inoltre, rimane il valore del marchio Rai e le sue enormi potenzialità se sfruttate nei nuovi media e in maniera non tradizionale, cosa che potrebbe cambiare molti elementi dell’instabile mondo dell’informazione italiana.
Infatti un affetto a catena che coinvolgerebbe anche i giornali e i media non tradizionali potrebbe arrivare se, come il premier promette, alla fine della nuova legge emergerà una Rai più efficiente, fuori dalle divisioni dei politici. Questi ne avevano tarpato le ali e trasformata in una specie di Mediaset per i contenuti, con in più una folla di vestigia burocratiche.
In questa partita il premier Matteo Renzi si è mosso di nuovo con grande genio tattico, anche perché un suo astuto fedelissimo, Michele Anzaldi, aveva già depositato una bozza di legge sulla vicenda. Anche se la bozza non sarà poi approvata ha dato un vantaggio a Renzi nella trattativa concreta sul da farsi.
Certo, anche solo l’ombra delle mani del premier sulla Rai in un momento in cui il Parlamento si appresta ad approvare riforme costituzionali che concentreranno potere nelle mani del governo, può indurre paure.
Qui però occorre dividere nell’analisi ciò che può essere più o meno giusto da ciò che andrà a meno ad accadere.
Come ormai è chiaro Renzi ha in Parlamento tutta la forza che vuole per spingere in avanti la riforma della Rai, quindi è più che normale, visto il ruolo della tv di stato, che voglia intervenire per fare una legge che gli aggrada. Se non lo facesse sarebbe un pazzo che rinuncia a governare.
Se e quanto questa legge sarà giusta va poi visto in due dimensioni: politica e di gestione delle reti. Politica, come abbiamo scritto più volte: l’Italia dopo la seconda guerra mondiale si era dotata di un sistema di contrappesi che evitavano il ritorno del fascismo e l’avvento del comunismo, e che si reggeva solo perché fascisti e comunisti non potevano andare al governo e congelavano il ricambio.
Quando dopo il crollo dell’Urss negli anni 90 i veti contro fascisti e comunisti vennero sollevati il sistema è diventato ingovernabile. Oggi che pur con tutte le possibili riserve su Renzi non è pensabile un ritorno alla dittatura, una maggiore concentrazione del potere nel governo è auspicabile. Come e quanto questo avverrà, dipende dalle riforme costituzionali che davvero usciranno e che finora continuano a cambiare a spron battuto.
Nel frattempo occorrerà vedere come sarà cambiata la gestione della Rai, che dovrebbe arrivare prima delle riforme della Costituzione. Se ne venisse fuori davvero il profilo di una specie di BBC ciò aiuterebbe il premier nei suoi passi successivi. Se invece apparisse come una grossolana occupazione del potere, molte cose potranno andare storte.
Naturalmente l’opposizione avrà tutto l’interesse a linciare comunque l’esito del cambio della legge della Rai, né molta della stampa italiana, coinvolta direttamente o indirettamente nella partita Rai, sarà un’oggettiva voce di giudizio. Cruciale a questo punto diventerà allora il giudizio che ne daranno i media stranieri, sempre più in questi anni attori della politica interna italiana.
In questa partita Renzi ha avuto finora incerti successi, ma stavolta un errore potrebbe creargli uno scivolone assolutamente non necessario ed evitabile.