La questione italiana — lo andiamo ripetendo da un po’ di tempo — non si risolve in Italia, almeno non del tutto, o comunque per risolverla in Italia bisogna essere ben ferrati su cosa si muove nel mondo. Questo vale per l’Italia e per qualunque altro Paese.

Ma forse è vero tanto più per l’Italia che si è fatta prendere da un timor panico inusitato quando la Borsa di Shanghai è crollata. Sembrava fosse tornato l’incubo dell’aumento dello spread incontrollato dei tassi sui buoni del tesoro. C’era effettivamente da essere preoccupati, tanto più perché per la prima volta la Cina ha dimostrato di essere immediatamente importante anche per le micro-politiche italiane. Pechino ha smesso di essere un miraggio più o meno esotico, ed è diventata questione urgente e tecnica, a cui i più erano impreparati.



Ma come scriveva qualche giorno fa Romano Prodi, non è questione di alzare o abbassare i tassi di cambio sulla moneta cinese, né di mettere sotto controllo la Borsa di Shanghai o quella di Hong Kong. Si tratta di ridiscutere, tra grandi stati, le regole della finanza globale. Ciò significa riaprire il dibattito sull’eredità di Bretton Woods, l’accordo vergato dagli Usa nel 1944 che ha tenuto insieme la struttura finanziaria globale fino ad oggi.



L’accordo di Bretton Woods ha cominciato in realtà a vacillare con il crollo dell’impero sovietico e l’inizio del periodo di globalizzazione nei primi anni 90. Il passaggio dall’accordo generale sulle tariffe (Gatt) all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e il varo dell’euro sono stati poi un colpo fortissimo.

A questi due passaggi si sono accompagnati infatti due crisi economiche pesanti. Quella del 1992, con il crollo del serpente monetario europeo, e quella del 1997 con la crisi finanziaria asiatica che diede poi inizio a una serie di cambiamenti sociali e politici in tutta la regione che ne hanno cambiato la geografia di potere.



Oggi la crisi cinese di Borsa è figlia, indesiderata, della riforme varate da Xi Jinping (vedi  http://atimes.com/2015/08/those-who-resist-xis-reforms-block-progress/ ) ma ben altri elementi hanno scosso le fondamenta di Bretton Woods. La Banca di infrastrutture asiatica e la Banca dei Brics sono due strumenti finanziari che non soppiantano le vecchie strutture, come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale, ma si aggiungono a loro modificandole nei fatti. Del resto altri elementi hanno già modificato la finanza globale.

I petro-dollari e il petrolio che dagli anni 70 ebbero un ruolo fondamentale nella stabilità o le turbolenza finanziarie, oggi hanno assunto un altro valore.

L’esplosione delle tecnologie di estrazione di Shale gas o oil insieme alle innovazioni di risparmio energetico hanno reso il petrolio sovrabbondante e poco caro, quindi anche meno strategico di quanto fosse solo dieci anni fa. Inoltre l’espansione dell’uso dei bit-coin, il denaro elettronico, che in sostanza concede a grandi attori su internet una specie di licenza di stampare moneta, mette sotto una nuova luce le banche centrali. Infine la diffusione futuribile, ma già attuale, delle stampanti in 3D, che ristrutturano profondamente il sistema di produzione di ogni oggetto, potrebbe portare a una nuova rivoluzione industriale.

Accanto a questo c’è l’economia politica. Nel 1944 gli Usa erano oltre il 50% del Pil globale, oggi grazie alla crescita dei paesi emergenti questa percentuale è meno della metà e andrà ulteriormente a scendere, perché dopo lo sviluppo della Cina c’è quello dell’India, poi dell’Indonesia, poi dell’Africa eccetera.

Non è chiaro quale sarà quindi l’assetto economico e politico globale, ma di certo è difficile che l’Italia con la lira possa averci un posto. Un ruolo se mai può spettare all’Europa, e le proposte tedesche di arrivare a una unità fiscale europea (che significa rinuncia della sovranità nazionale degli stati membri) vanno in questo senso.

L’Italia in questo contesto, brevissimamente delineato qui, può in teoria estraniarsi, ritornando alla lira. Con ciò si vota a essere ininfluente oltre che forse a decenni di instabilità politica e sociale. Oppure, partecipare attivamente alla partita europea e mondiale. Ma questo lo può fare solo sulla base di piani e dossier ben precisi… cose che forse l’Italia non ha.

La sfida vera di Renzi, o di chiunque altro sia al suo posto, è dotarsi di questi dossier, e degli uomini che li preparano. Questi certamente non sono ragazzi rottamatori, ma talvolta intelligenze che lui ha rottamato o sta per rottamare. Senza questi dossier e questi uomini, Renzi candida alla rottamazione se stesso e l’Italia.